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Interviste effettuate da Vinitaly Rese al pubblico su www.vinitaly.com

SOMMARIO: All’aumento della qualità e del prestigio della produzione enologica italiana degli ultimi 20 anni non ha corrisposto una crescita del consumo interno, al contrario dell’export che invece continua a salire. Il mercato interno rappresenta però lo zoccolo duro del fatturato delle aziende vitivinicole; occorre quindi chiedersi: può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei nuovi Paesi produttori? Per capire ancora meglio: il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione? Perché al contrario il trend dell’export è in crescita? Alle domande di vinitaly rispondono i protagonisti del settore

Riferimento temporale: marzo 2011

Databank Database Tabella csv excel xls Case Vinicole Cantine

=====LAMBERTO VALLARINO GANCIA
Presidente Federvini

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- E’ chiaro che non possiamo vivere di solo export: basta considerare che negli anni ‘80/’90 Francia e Italia da sole rappresentavano oltre il 75% dell’export mondiale di vino ed oggi non raggiungono il 50%. Guardando all’export, però, dobbiamo considerare come meglio ripartire i nostri flussi poiché Unione Europea e Stati Uniti e Canada, pur rimanendo come nostri punti di riferimento, devono essere affiancate da altre aree. Il trend che poi si sta ormai sviluppando da anni è che si beve meno ma meglio e quindi è la qualità l’opportunità su cui puntare partendo proprio dal mercato interno frutto di tanti territori unici e speciali, varie tipologie di prodotti e capacità di soddisfare vari gusti del consumatore.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il calo nasce da tanti fenomeni, forse non sufficientemente valutati nel loro impatto congiunto. Provo a spiegarmi meglio: a partire dagli anni ’70 abbiamo considerato naturale il calo del consumo del vino in conseguenza dei cambiamenti economico-sociali che l’Italia stava vivendo, ma poi sono intervenute altre cause, quali l’attenzione del consumatore per la qualità e la necessità di un equilibrato consumo. In questo processo abbiamo perso però dei riferimenti importanti relativi alla presenza del vino nei nostri gesti quotidiani. Si può riassumere il tutto come difetto di comunicazione, ma se si vuol agire in questo campo si deve procedere con una comunicazione articolata. Sicuramente la grossa opportunità sarà di comunicare le tante differenze di produzione del nostro settore che essendo molto polverizzato richiede tempo e necessità di fare sistema.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il trend dell’export è in crescita perché abbiamo investito enormemente sui mercati anche in termini di comunicazione e promozione; siamo stati sensibili ai messaggi che ci chiedevano di inviare ai consumatori dei nuovi mercati o dei mercati tradizionali. Abbiamo anche migliorato il vigneto Italia con una buona valorizzazione dei vitigni autoctoni ed internazionali, così come abbiamo rinnovato le tecniche di produzione e le cantine. Tutto questo ha dimostrato di funzionare molto bene: può essere un’utile riflessione da attivare sul nostro mercato. Oggi tuttavia dobbiamo anche riflettere su come proseguire in futuro per rafforzare la nostra posizione e per aumentare la nostra presenza su altri mercati anche attraverso i fondi della promozione che la riforma dell’OCM ci ha messo a disposizione: le prime esperienze testimoniano la necessità e urgenza di migliorare il coordinamento delle iniziative e sviluppare una messaggio comune.

=====LORENZO BISCONTIN
Direttore marketing Santa Margherita

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Può e deve essere così, nel senso che il mercato del vino è oramai un mercato mondiale e come tale è necessario affrontarlo. Ricordiamo che il più grande mercato di consumo del vino sono gli U.S.A., quindi, come comparto vinicolo italiano pensare esclusivamente o principalmente in un’ottica di domanda nazionale più che limitante è antistorico.
La questione da porsi invece è piuttosto se e quali opportunità si stiano perdendo sul nostro mercato, magari a scapito di altre bevande alcoliche. Proprio in questi giorni noi come Santa Margherita abbiamo chiesto sul web come mai in Italia i dati sembrano mostrare un calo del consumo pro capite di vino, mentre quello di birra è in crescita (fenomeno che si riscontra ancora più evidente in Spagna, altro grande Paese produttore che si sta fortemente orientando all’esportazione).

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Sicuramente la concorrenza sul mercato italiano tende ad essere più agguerrita rispetto ai mercati esteri, soprattutto quelli che più di recente si sono avvicinati alla cultura del vino. Va però sottolineato che questo gap di natura economica si è via via ridotto negli ultimi anni con la crescita sui mercati dei vini provenienti dai nuovi Paesi produttori. Quello che noi stiamo riscontrando è probabilmente un problema di comunicazione, che ha fatto passare il vino da complesso e stimolante a complicato e un po’ noioso.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Parlando di esportazioni si parla in realtà di una eterogeneità di situazioni, sia per cultura eno-gastronomica che per maturità del mercato nell’esistenza o nell’adozione di abitudini di consumo di vino. Basti ricordare la crescita della diffusione del consumo di vino tra i consumatori americani negli ultimi 10 anni, oppure il potenziale ancora inespresso dell’Estremo Oriente per poter preveder anche in futuro un’espansione del consumo di vino a livello mondiale. In questa competizione globale il vino italiano ha dimostrato di avere alcuni grandi vantaggi competitivi, che si aggiungono alla tradizione e al fascino della cultura eno-gastronomica italiana:
– bevibilità,
– varietà,
– duttilità nell’abbinamento con le cucine più diverse (conseguenza della combinazione dei due fattori precedenti),
– elevato valore aggiunto percepito, ovvero prezzi competitivi rispetto ai vini provenienti da altre regioni/Paesi considerati di qualità equivalente.

=====FABIO GIAVEDONI
Curatore Guida Slow Wine

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Ovviamente no, soprattutto perché il “primo Paese produttore” si presenta e si muove all’estero in maniera dissociata, non unitaria, operando spesso di rincalzo rispetto a politiche commerciali e di marketing decise da altre nazioni invece che delineare proprie strategie ben definite. I Paesi del Nuovo Mondo non mettono paura al nostro sistema vitivinicolo per meriti propri ma per demeriti nostri; a guardarli bene non sono fenomeni preoccupanti, e tanto meno si dimostrano esperienze da imitare.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Credo che sia soprattutto un problema culturale, che potrebbe essere colmato da un’efficace comunicazione. Lo testimonia il fatto che ancora oggi ogni tanto si sollevano ventate di ottuso proibizionismo nei confronti del consumo del vino, sostenute da dati oscuri, fuorvianti e mai ben verificati sugli incidenti stradali in stato di ebbrezza e sul dilagare del consumo dell’alcool tra i giovani. Bisognerebbe cominciare invece dalle scuole dell’obbligo a spiegare qual è stata la storia e il valore culturale del vino in Italia.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Perché oggi è una strada obbligata, visto che siamo un Paese che consuma meno della metà del vino che produce (e che vede progressivamente calare il consumo interno). O spiantiamo le vigne o cerchiamo di vendere il vino all’estero, non ci sono alternative. Non dimentichiamo poi che il principale viatico del nostro vino è la fama e l’appeal della cucina italiana, che quando conquista nazioni emergenti (come è successo di recente nell’est asiatico) si porta necessariamente dietro anche il mercato del vino.

=====ERMANNO GARGIULO
Responsabile category Sud Coop Italia

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- In genere all’aumento della qualità non sempre corrispondono aumenti di consumi, statisticamente è possibile anche che avvenga il contrario. Va da sé comunque che per il Paese primo produttore sia importante il consumo interno. Quindi per me la risposta è da secco…no, non si può vivere solo di export e la cosa non è legata ai rischi elencati. L’export può essere un valore aggiunto in più, importante, ma non il business principale del settore enologico.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- In questo momento il gap è sicuramente di natura economica, marchiamo però in questo settore anche un ritardo su una corretta comunicazione.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Tutto lo sforzo profuso in questi anni verso la qualità è stato colto all’estero, dove il consumatore mondiale è maturato. L’interesse creato sui nuovi mercati di consumo ha determinato un trend positivo.

=====ALDO CIBIC
Architetto designer della “Bottiglia dei 150 anni dell’Unità d’Italia” di Vinitaly

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Per quella che è la mia percezione, credo che il vino italiano salendo di livello sia andato a colpire di più un mercato di qualità e un consumatore più attento al buon bicchiere. Questa evoluzione del vino italiano corrisponde a un pubblico più esigente che probabilmente non incide sul volume di produzione, ma che premia il salto in avanti fatto in questi anni. L’impressione è che si vedano, sia nelle grandi città che nelle piccole province, sempre più enoteche e negozi specializzati in vini e prodotti locali di alta qualità.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- All’estero abbiamo la riprova di quanto ho appena detto. Girando il mondo dalla Cina alla Turchia, dagli Stati Uniti al Brasile, si riscontra una grande voglia di comprare il nostro vino e i nostri prodotti nazionali di qualità e questo sembra essere un mercato in continua espansione. Quello che per l’Italia è un prodotto conosciuto, per il resto del mondo non lo è ancora.

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=====LUCIO MASTROBERARDINO
Presidente Uiv

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- No, e lo abbiamo detto fortemente in più occasioni: quello che faticosamente guadagniamo ogni anno all’estero non compensa il calo di consumi interni. È un cane che si morde la coda: continuiamo a produrre troppo, vendiamo in Italia sempre di meno, si accumulano sempre più giacenze da smaltire a tutti i costi e a ogni prezzo. Dietro al grido “tutto fuori” non c’è una strategia, ma solo la necessità di buttare “fuori tutto”. Senza strategia però non possiamo che rimanere in balìa della speculazione e della volatilità: quella dei cambi, che ieri ha premiato noi, domani premierà qualcun altro; e quella della distribuzione, che sa benissimo in che acque stiamo e si può permettere le politiche di prezzo che vuole.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Tutti e tre i fattori concorrono a formare un cocktail micidiale. Ma se sul primo non possiamo far nulla come settore, il secondo e il terzo problema sono quelli su cui invece siamo chiamati a incidere. Sul fronte culturale, l’educazione a una sana alimentazione e un corretto approccio all’alcol non può che partire dalle scuole, e qui come Unione Italiana Vini siamo direttamente impegnati. Il recupero delle giovani generazioni è fondamentale sia per evitare le pericolose derive, sia perché questi sono i consumatori di domani: o li educhi oggi o li perdi per sempre. Il problema della comunicazione invece è più ampio, e riguarda la mancanza di politiche unitarie della filiera: il vino è patrimonio di tutti coloro che lo producono, ma a comunicarlo sono troppo spesso soggetti diversi dai produttori.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Guardando ai nostri vini in giro per il mondo, certe volte penso che “corrano” nonostante noi. C’è una frammentazione tale a livello produttivo, di associazioni, di enti che non ha eguali nel mondo. Questo spiega il fatto che pur essendo il Paese con la più grande varietà di vitigni e di offerta, i nostri vini più conosciuti si contano sulle dita di una mano. L’export è in crescita, certo, ma bisogna vedere di che crescita parliamo e trainata da che cosa: se guardiamo alle performance in termini monetari, in dieci anni abbiamo guadagnato un centesimo di euro l’anno. Dobbiamo cambiare non solo modo di presentarci all’estero, ma anche tarare l’offerta in base ai mercati. I fondi concessi dall’Ocm per la promozione sono stati in gran parte sprecati nei primi due anni per politiche miopi, che hanno penalizzato gli unici soggetti che stanno tutti i giorni sui mercati: le imprese. Qualcosa sta cambiando nella terza annualità, ma dobbiamo scegliere in maniera chiara chi ci deve rappresentare.

=====NINO VISCO
Direttore commerciale Cantine Riunite

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori del cosiddetto Nuovo Mondo?
R- La situazione italiana è simile a quella degli altri due principali produttori del mondo Francia e Spagna. Consumi interni in calo che coprono tra il 35 ed il 40% della produzione mentre le esportazioni, anche se con fasi alterne, tendono a crescere insidiando in quantità sempre più i consumi interni (per la Spagna è già avvenuto il sorpasso, l’Italia ci è vicina). L’importanza dell’export è un dato di fatto e gli operatori hanno imparato da tempo ad affrontare mercati fluttuanti e competitivi. Del resto le problematiche del mercato interno non sono da meno. Un’azienda dovrebbe trovare un buon equilibrio tra i due mercati.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- L’evoluzione del mercato italiano, in termini di consumi, è di sicuro un fatto sociale, non del tutto negativo se è vero che “si beve meno ma si beve meglio” . Al calo naturale dei consumi si è però aggiunto l’inasprimento della disciplina in materia di guida che ha portato i consumi fuori casa a meno del 20%. Il resto del mercato è in GD, un canale che gioca tutto il suo potere contrattuale nei confronti di un’offerta caratterizzata da una competizione accanita, disposta a ridurre sempre più i margini pur di mantenere le posizioni di mercato.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- I tradizionali mercati dell’export (Germania, UK, USA e Canada) danno ancora qualche soddisfazione agli esportatori: consumi in costante, leggera crescita e concorrenza forte ma meno aggressiva che all’interno. La crisi internazionale ha riportato indietro le lancette della marginalità (UK soprattutto) ma, ancora oggi, una offerta con un buon rapporto qualità/prezzo vale all’export, più che in Italia. Intanto si stanno aprendo nuove grandi opportunità: la Russia è già una realtà e la Cina lo sta diventando, ma anche l’Africa (Nigeria, Angola) e molti Paesi dell’ex galassia sovietica. Paesi dove al crescente benessere corrisponde la ricerca di una migliore qualità della vita e, quindi, del bere e la scoperta del vino.

=====MARCO GATTI
Giornalista

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- No. Pensare di vivere di solo export sarebbe una politica suicida. Occorre invece promuovere i consumi in casa nostra, arginare il calo, trovare nuove canali, spingere a un consumo consapevole, individuare strade che avvicinino anche i consumatori di domani, ossia i giovani che ad oggi sono molto distanti dal vino e ancora vittime di una non cultura che fa coincidere il bere con l’abuso di superalcolici, una concezione che nulla ha a che vedere con la grande storia del vino del nostro Paese.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Innanzitutto il nostro è un gap culturale e, di conseguenza, di comunicazione. Il vino fa parte del nostro Dna, è all’origine della nostra civiltà. E invece? Invece di promuovere la cultura del bere consapevole, la conoscenza di che cosa è veramente il vino, della sua storia e addirittura del suo valore positivo, anche per la salute, da tempo il vino è oggetto di ingiusta demonizzazione che ne svilisce l’appeal e ne mortifica nel nostro Paese la conoscenza.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Secondo i dati dell’Osservatorio MPS quest’anno ci sarà un buon incremento delle vendite all’estero, in una percentuale che potrebbe essere del 5%. Il motivo è presto detto. La nostra produzione è riconosciuta come di qualità somma, e questo affascina mercati molto interessanti, in primis Brasile, Russia, Cina e India, dove le possibilità di crescita sono davvero grandi. All’estero c’è una domanda forte di qualità, se noi non disattendiamo a queste attese, il futuro dell’export non potrà che essere positivo.

=====ANTONELLO MAIETTA
Presidente di Ais

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Allo stesso modo di come esistono singole aziende, anche di modeste dimensioni, che hanno scelto di destinare una percentuale molto elevata della loro produzione ai mercati esteri, lo stesso può avvenire, in linea teorica, per l’intero sistema produttivo. È chiaro che un orientamento di questo tipo, oltre a implicazioni di ordine morale, si scontra anche con una serie di principi economici che suggeriscono invece di differenziare gli scenari di vendita.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Tutti e tre i fattori sono presenti, seppur in diversa proporzione. Al primo posto metterei la mancanza nel nostro Paese di una vera e propria cultura del vino. La comunicazione non sempre è efficace, anzi, talvolta appare distorta, dando messaggi fuorvianti. Solo all’ultimo posto metterei il fattore economico, poiché non sono poche in Italia le aree geografiche che producono molto bene a prezzi competitivi.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Le motivazioni per cui le esportazioni di vino sono in crescita sono essenzialmente da ricercare nell’incremento del livello qualitativo del prodotto che oggi proponiamo all’estero, ma non solo. Il mercato estero oggi richiede originalità, e di certo la variegata offerta dei vitigni italiani risulta molto appetibile per un consumatore esigente, curioso, alla ricerca di novità. Senza trascurare il forte richiamo che oggi riscuote il made in Italy nei più svariati settori.

=====RICCARDO FACCI
Facci&Pollini

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Penso che vivere di solo export sarebbe un pessimo segnale nel mercato internazionale. Potrebbe portare a conseguenze ancor più pesanti della pur gravissima perdita del mercato interno, oltre che essere un evidente pericolo economico quasi immediato. Non credo sia questo uno scenario sostenibile, così come non credo che possa realmente accadere, almeno non in modo drammatico e definitivo.

D- Il gap del mercato italiano di natura economica, culturale o un problema di comunicazione?
R- Dal mio punto di vista il problema è legato a molteplici fattori. Penso innanzitutto ai mercati, per natura strettamente legati alla tradizione e alla cultura profonda di un Paese, che reagiscono di solito più lentamente ai cambiamenti. Il vino non penso faccia eccezione. C’è poi l’innalzamento di posizionamento del vino italiano, che potrebbe non essere stato ancora percepito con la credibilità che merita. Senza dimenticare che le tasche degli italiani, in questo momento storico, potrebbero anche premiare la qualità, ma non certo i volumi. Aggiungerei inoltre un punto importante: la criticità di comunicare il prodotto vino quindi alcool, che ha impedito un sereno sostegno da parte delle istituzioni (spesso divise tra la sensibilizzazione sul tema della sicurezza alla guida e la promozione dei prodotti italiani a base alcolica) nella comunicazione e divulgazione dei valori e dei progressi della nostra produzione interna. Come ultimo fattore, in ordine di citazione ma non di importanza, le imprese italiane, sempre restie a fare sistema, che non sono riuscite a comunicare il loro prestigio in modo moderno, strutturato e coordinato come hanno fatto invece i nostri cugini francesi, ottimo esempio di come si può sommare un robusto sostegno da parte delle istituzioni ad una talentuosa cultura del comunicare.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Forse siamo più bravi a comunicare all’estero, più liberi. Inoltre il valore dell’italianità su molti temi, tra i quali spicca il food & wine, è molto più sentito in giro per il mondo di quanto lo sia nel perimetro dei nostri confini. Probabilmente, l’estero è per il vino italiano anche un mercato meno saturo, dove, seppur si conviva e si lotti con politiche molto aggressive da parte dei Paesi emergenti, lo spazio potenziale che spetterebbe naturalmente al vino italiano non è ancora stato conquistato del tutto, pur essendo l’Italia il primo produttore mondiale. Situazione che all’interno dei nostri confini invece si inverte, lasciando spazio alle novità provenienti da oltralpe e da oltreoceano.

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=====CARLOTTA PASQUA
Presidente di Agivi

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Credo che dovremo iniziare a pensare ad un mercato interno europeo e non solo italiano. Il sistema Vino Italia è caratterizzato da una varietà ampelografica unica e da migliaia di produttori che amano interpretarla secondo la propria visione. È simile al sistema della moda: l’alta qualità trova sempre spazio e il Made in Italy viene premiato. Dobbiamo continuare ad investire nel mercato italiano valorizzando la qualità dei vini di territorio e coltivando la cultura del bere bene, ma anche imparare a misurarci con il resto del mondo.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Approccio. Ecco il problema che vedo quando analizzo le cause per le quali i nostri vini non hanno la stessa visibilità dei nostri competitor. È il diverso approccio al mercato e penso sia una concausa di tutti e tre gli aspetti menzionati. L’aspetto culturale ci porta ad essere esterofili nel giudicare ma regionalisti nell’operare. L’aspetto economico, con la frammentazione delle imprese, dei vigneti e delle denominazioni, e una comunicazione/promozione non sempre strategica ed efficace completano il quadro.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- In Italia siamo oggi ad un consumo di vino pari a 39 litri pro capite contro i 104 del 1975. Vendere all’estero significa incassare prima, avere una marginalità superiore, oltre a maggiori opportunità. Molti connazionali hanno fatto conoscere la cucina italiana nel mondo creando ristoranti che sono diventati ambasciate del Made in Italy. Lo stile italiano, dal vino, alla moda, al design, piace ed esercita fascino sui consumatori stranieri. Intanto in Italia occupiamoci seriamente di filiera, qualità, consumi, prezzi per riportare l’attenzione verso il mercato interno.

=====GIANNI ZONIN
Casa Vinicola Zonin

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Assolutamente no! Per questo è necessario attivare una comunicazione mirata sul mercato italiano per promuovere il valore che è racchiuso nell’autenticità del vino e nel suo legame con il territorio. In questi anni recenti abbiamo visto come le situazioni politiche abbiano modificato rapidamente i flussi monetari e finanziari in molti Paesi, con gravi conseguenze economiche per i mercati. La scelta più saggia è obbligata: dobbiamo sostenere il consumo interno del vino affinché questo rimanga la bevanda millenaria per eccellenza del nostro Paese.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Certamente si può parlare di un problema economico causato dalla crisi degli ultimi 3 anni, ma anche di un problema di comunicazione perché molto spesso si confonde il vino con l’alcool. Soprattutto tra i giovani è necessario diffonderne la cultura ed il suo consumo consapevole, distinguendolo dagli spirits: il vino è un vero alimento con proprietà nutritive e benefiche, indispensabili nella dieta mediterranea. La promozione del vino, oltre che dai produttori, deve essere sostenuta anche dalle istituzioni preposte, soprattutto in un anno come questo in cui il nostro Paese festeggia il 150° dell’Unità d’Italia. Il vino, dal punto di vista socio-religioso, è uno dei simboli più eloquenti della nostra terra, anticamente chiamata Enotria.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Grazie all’intraprendenza dei produttori italiani che incontro sempre più spesso ovunque io vada all’estero siamo il primo Paese esportatore di vini al mondo con 20 milioni di ettolitri venduti. Inoltre non si deve dimenticare la straordinaria gamma di oltre 350 varietà autoctone e l’eccellenza che la nostra vitivinicoltura può offrire agli operatori stranieri. La qualità totale offerta ad un prezzo interessante e corretto per il consumatore è ciò che conta e che ha permesso al vino italiano di essere vincente nella competizione globale.

=====FRANCO ZILIANI
Giornalista

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Ci sono fior di vini, quelli di maggiore blasone, che senza un forte export avrebbero problemi di sopravvivenza, ma non è un buon motivo per puntare tutto sulle esportazioni rinunciando al mercato interno. Di troppo export si può anche morire.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Non c’entra solo la crisi, per tanti consumatori spendere 20-30 o più euro per un grande vino è davvero impossibile, non se lo possono permettere.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Perché altrove le economie sono ripartite prima e c’è più danaro e più voglia di spenderlo. E vanno comunque i vini economici non quelli più cari, piuttosto fermi

=====MASSIMO PERINI
Category marketing manager Unes

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Sicuramente l’export rappresenta una valvola di sfogo importante per la produzione italiana. In momenti di crisi del mercato interno guardare al di fuori dei propri confini diventa obbligatorio, ma ritengo che si debba mettere in atto qualche strategia per salvaguardare anche il mercato italiano (promozione/formazione). Oggi rappresentiamo una valida alternativa ai blasonati francesi, ma il Nuovo Mondo potrebbe diventare un’interessante alternativa a noi. Sino ad ora le nostre aziende pare siano state brave ad inserirsi in contesti internazionali, ma per mantenere la posizione in futuro dovranno pianificare in modo sempre più strategico (quale prodotto, prezzo, comunicazione, distribuzione, ecc.); le piccole-medio aziende riusciranno a tenere il passo?

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Ritengo che dipenda congiuntamente dalle 3 variabili. Culturale: sono cambiati gli stili di vita (ad esempio il vino è calorico e sconsigliato per chi è sovrappeso), sono diminuiti i “forti consumatori” (si beve meno ma meglio) e la società sta diventando sempre più multietnica (ed alcune di queste etnie non consumano vino). Comunicazione: non esiste una comunicazione strutturata che, da un lato possa creare cultura e dall’altra promuova adeguatamente il vino. Economica: la recessione sicuramente ha contribuito ad amplificare la crisi dei consumi.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Ritengo che l’export sia in crescita poiché attualmente il rapporto prezzo/qualità dei nostri prodotti è vincente e il made in Italy ha ancora qualche valenza. Inoltre, va detto che i principali mercati a cui si rivolge l’Italia (ad esempio Germania, USA, Regno Unito, Canada) potenzialmente hanno ancora margini di crescita in quanto a consumo pro capite

=====ROBERTO RACCA
Consulente marketing del settore vino

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- L’export è importante e, in alcuni casi e per alcune denominazioni, risulta determinante, ma il mercato nazionale rappresenta sempre e ancora un asset di assoluto rilievo. Sono molti i produttori di riferimento che sviluppano fatturati significativi in Italia, anche in funzione, in tanti casi, di una maggior remunerazione media (nel mix a valore, le vendite dirette contribuiscono ottimamente). Occorre fare tutto il possibile per essere “profeti in patria”, perché ciò rappresenta il fondamentale veicolo per una profonda riconoscibilità del proprio marchio, anche nei confronti dei tanti stranieri che visitano ogni anno il nostro Paese.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- La contrazione del potere d’acquisto e il fattore etilometro, fenomeni peraltro cronologicamente recenti, non sono sufficienti a spiegare una diminuzione dei consumi che si protrae ormai da molti anni. Personalmente mi concentrerei sul gap culturale, che si associa a doppio filo ad una comunicazione spesso autoreferenziale e senza una regia mirata ad avvicinare, con la giusta emozionalità didattica e le profonde valenze culturali, le nuove generazioni e il target femminile in particolare.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il business mondo si sviluppa e si articola attraverso molteplici opportunità, legate ad una merceologia trasversale per definizione, per la quale esistono situazioni consolidate e mercati non ancora maturi, ma dalle potenzialità prospettiche straordinarie. Esiste un dinamismo commerciale diverso, in grado di creare nuovi canali di distribuzione e promozione. Al contrario l’Italia è abbastanza immobile e dovrà trovare energie e sinergie innovative, per stimolare un futuro percorso evolutivo. Si beve meno ma si beve meglio, così recita uno slogan ricorrente. Io spero che si beva solo la qualità e in tante nuove occasioni di consumo.

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=====RICCARDO RICCI CURBASTRO
Presidente Federdoc

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- L’export è importante. Dobbiamo essere sui mercati esteri, altrimenti altri prenderebbero il nostro posto, ma in qualche modo ci sappiamo stare, perché le fluttuazioni monetarie valgono per noi (e le abbiamo sapute superare) come per gli altri (australiani e cileni in crisi in questo momento). Il mercato italiano non va però trascurato, tanto più perché la crescita annuale dell’export non compensa affatto le perdite dei consumi interni.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il gap italiano è tre volte grave, perché di natura economica, culturale e di comunicazione. La crisi economica esiste ed è provata dalla diminuzione dei consumi nell’horeca che la gdo non riesce a compensare. Sul lato culturale, gli anziani consumano meno, i giovani si astengono, la società sta cambiando. Occorre un programma di comunicazione: di informazione sull’assunzione corretta del vino e sugli effetti benefici alle giuste dosi; di promozione dell’immagine dei nostri vini legati al territorio e alle tradizioni culturali e culinarie. Federdoc ci sta provando con il supporto pubblico, ma le stesse istituzioni pongono paletti importanti, come la raccomandazione UE n. 458/2001 che vieta di comunicare ai giovani.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il vino italiano di qualità gode di corsie preferenziali sui mercati esteri, grazie ai brand trainanti e alle iniziative di giovani intraprendenti e coraggiosi, oltre che alle azioni di promozione dei consorzi e di altri enti, ma anche alla sua straordinaria ricchezza di varianti. Il rapporto prezzo/qualità dei nostri vini è ottimale, e questo andrebbe comunicato meglio nelle attività promozionali. Purtroppo da noi manca una cabina di regia (Ministero), con i vari enti impegnati a fare da sé a volte in competizioni esasperate. I contributi derivanti dalle politiche dell’UE andrebbero meglio spesi, dal centro piuttosto che ripartiti quasi interamente tra le Regioni, in progetti esteri di respiro nazionale e con carattere di intensità e continuità adeguato.

=====ANTONIO CAPALDO
Presidente Feudi di San Gregorio

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Credo che non ci sia molta scelta, occorre imparare a vivere essenzialmente di export. Ciò provocherà una forte – ma direi naturale se si guarda cosa è successo negli ultimi 15 anni in tanti altri comparti – selezione delle imprese sulle strategie e gli investimenti. Questo perché penetrare e soprattutto rimanere su alcuni mercati è difficile.
D’altronde la debolezza del sistema Italia è strutturale, con una produzione in forte eccedenza rispetto ai consumi interni. Questo non vuole dire certamente rinunciare a un lavoro importante di sensibilizzazione e di comunicazione del vino di qualità. Occorrerà poi proteggere il sistema vino da certe tendenze alla demonizzazione che sembrano davvero autolesionistiche.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Nel mercato italiano c’è sicuramente bisogno di più comunicazione al fine di creare una vera cultura del vino. Siamo tutti, onestamente, responsabili. In primis, chi ha un grande marchio alle spalle e potrebbe giocare un ruolo attivo nella creazione di una vera cultura capillare del vino. Occorrerebbe riscoprire, ad esempio, l’attività di degustazione come propedeutica alla vendita, come si fa in tantissimi mercati considerati a torto meno evoluti: se il cliente non degusta, non acquista. Sono le aziende che devono spingere in questa direzione.Certamente poi servirebbe un quadro istituzionale che valorizzi e protegga il sistema vino, ma mi piace pensare che gran parte del futuro possa essere nelle nostre mani.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- C’è prima di tutto un fatto strutturale inevitabile. Poi, fortunatamente, c’è’ una crescita dei consumi su alcuni mercati che attira le nostre esportazioni. Io credo che il trend sia quello giusto, quello del futuro. Anzi, non siamo ancora abbastanza incisivi nel nostro lavoro sui mercati esteri.
E qui c’è bisogno davvero di supporto istituzionale a diversi livelli ma, ancora una volta, tanto è nelle mani nei produttori: occorre una mentalità più aperta alla collaborazione e alla messa in comune di investimenti commerciali.

=====VERONIKA CRECELIUS
Giornalista tedesca corrispondente in Italia rivista Weinwirtschaft

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Ovviamente no, che tristezza, e non solo perché il buon senso non permette la dipendenza economica da mercati dove lo sviluppo politico e/o economico è poco prevedibile. Il vino è uno dei più bei biglietti da visita del Belpaese e il turismo del vino genera anche cifre notevoli. Il mercato interno è stato semplicemente trascurato. Ogni mercato ha bisogno di una comunicazione su misura. Vi preoccupate tanto di come avvicinare i consumatori degli altri Paesi al vino, ma avete dimenticato che il cambio di generazione a casa richiede lo stesso sforzo. Il mercato interno è tra l’altro essenziale perché un vino deve prima avere fama nel proprio Paese per poter esplodere sui mercati esteri. Sarebbe miope produrre vini solo per l’export.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Tutto insieme. Il calo del consumo del vino in generale è anche dovuto al cambio demografico. Gli anziani bevono meno, i giovani di oggi non sono appassionati e bevono altre cose, l’euforia dopo il risveglio del settore e la “rivoluzione qualitativa” si è spenta con gli anni e poi gli italiani non sentono ancora la ripresa economica. Il giovane fa fatica a orientarsi adesso che nelle case non c’è più quel legame naturale con il vino che esisteva fino a pochi anni fa in ogni famiglia italiana. La pubblicità non sa attrarre i ventenni, non è “cool”, troppo tradizionale oppure evocativa di un lifestyle che piaceva negli anni ‘90.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il settore ha lavorato tantissimo per conquistare mercati esteri, ha investito nella qualità, nella comunicazione, ha creato canali e si è potuto muovere bene anche grazie ai tantissimi italiani emigrati in tutto il mondo che hanno fatto da apripista. All’estero la cosiddetta italianità gode ancora di un appeal che i competitori non possono aggiungere ai loro vini. Il made in Italy ha per esempio influenzato lo stile di vita in tutta la Germania, ma attenzione, si può rovinare anche questa emozione soprattutto sui mercati maturi. Secondo me il marketing è importantissimo, ma ha meno peso di un rapporto umano e fiducioso tra produttore e i suoi clienti/importatori.

=====GIANCARLO VETTORELLO
Direttore Consorzio Conegliano Valdobbiadene

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Per quanto riguarda la nostra denominazione, presidiare il mercato interno è vitale, dato che più del 60% delle vendite vengono realizzate in Italia. Il valore del mercato italiano non si esaurisce solo in termini quantitativi, ma nel nostro caso assume anche una valenza strategica: riteniamo infatti importante mantenere una forte presenza in Italia e in particolare nel territorio di produzione. Mantenere vitale un forte legame tra vino e territorio d’origine, con una diffusione capillare del prodotto soprattutto nella regione di produzione, è per noi una priorità.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Negli ultimi 20/30 anni l’approccio al vino da parte del consumatore è cambiato moltissimo: si è infatti passati dalla considerazione del vino come alimento a un consumo di tipo voluttuario. Più che di gap si può quindi parlare di un cambiamento antropologico in atto che ha coinvolto il nostro Paese come altri Paesi produttori e che richiede lunghi tempi di assestamento. In questa fase, più che fare attenzione all’aspetto quantitativo, è importante diffondere una cultura del bere attenta e direi qualitativa. In questo senso credo che molto possano fare la ristorazione e la distribuzione in generale, presentando vini di qualità legati ai luoghi di produzione ed emarginando i troppi vini generici che vediamo sulle tavole.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Ci sono due aspetti da considerare per quanto riguarda le esportazioni di vini italiani: da un lato, infatti, la cultura del vino si è notevolmente diffusa negli ultimi anni a livello globale e dall’altro lato, sul fronte dell’enologia nazionale, si riscontra una grande vitalità dei produttori che li spinge a percorrere sempre nuove strade per far fronte all’elevata competizione che caratterizza il mercato interno. I produttori italiani infatti hanno saputo cogliere il trend in atto e reindirizzare la loro offerta verso i mercati emergenti. L’export è importante anche per incrementare il valore del made in Italy nel mondo, da sempre legato alla moda e al design e ora sinonimo anche di una ricca cultura enogastronomica.

=====MARCO SELMO
Responsabile liquidi gruppo Carrefour

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Il contesto di mercato che si registra oggi in Italia è di forte difficoltà a livello generale, il vino non sfugge a questa regola. Abbiamo avuto anni nel settore della gdo dove il vino registrava crescite a doppia cifra; oggi viviamo una fase di rallentamento anche se con trend migliori rispetto a tante altre categorie merceologiche. L’export rappresenta oggi uno sbocco per il vino italiano, ma abbiamo vissuto anche anni di forte contrazione delle nostre esportazioni.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Credo che questo gap sia generato principalmente da due fattori: il primo più rilevante è il contesto economico, il grosso lavoro a livello qualitativo fatto nel mondo del vino e la grande disponibilità di volumi ha portato ad avere ottimi prodotti a prezzi estremamente competitivi, ma si è perso il presidio delle fasce medie di mercato che risultano in contrazione; il secondo è legato alla natura strutturale del mondo vitivinicolo italiano che e’ costituito da una miriade di piccole aziende, a volte tra loro concorrenti e che non riescono a dare un messaggio univoco al consumatore, a parte alcuni casi sporadici e all’ottimo lavoro di alcuni consorzi, che porti a valorizzare il “prodotto” vino.
Sicuramente un migliore coordinamento e l’aumento delle dimensioni delle aziende vitivinicole che in alcuni casi si sta già realizzando può portare a una migliore comunicazione e quindi a migliorare l’ immagine di questo settore agli occhi del consumatore finale.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Lo scorso anno i risultati migliori si sono evidenziati in Paesi con economie emergenti come Cina (raddoppio delle esportazioni) e Russia (+51%). Queste crescite sono sicuramente importanti, ma spinte da un contesto economico di crescita generale e non legate in maniera puntuale al mondo del vino.

Databank Database Tabella csv excel xls Case Vinicole Cantine

=====ADRIANO ORSI
Presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Il mercato nazionale è caratterizzato da prezzi bassi, consumi in flessione e giacenze in aumento, ed è dall’export che arrivano gli unici segnali di ripresa, con un +11,7% delle esportazioni in valore e un +10,7% in quantità, registrati nel 2010. È questo il motivo per cui occorre incoraggiare le imprese italiane a guardare all’estero. Una strada remunerativa, nonostante la concorrenza agguerrita dei nuovi Paesi produttori, per via del grande appeal che il vino made in Italy ha fuori dall’Italia, per la sua alta qualità.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- ll mercato del vino in Italia non vive una stagione esaltante. Complice soprattutto la crisi, nel 2009 il consumo di bianchi e di rossi nel nostro Paese è sceso per la prima volta sotto i 40 litri pro capite (-30% in 20 anni, dati Nomisma). Oltre alla congiuntura economica, tra le cause del calo dei consumi rientrano anche il costo della burocrazia gravoso nel nostro Paese, che costringe molte imprese ad aumentare il prezzo dei propri vini, oltre alle scarse possibilità date ai produttori di fare comunicazione e pubblicità ai loro prodotti e le restrittive norme del codice stradale che limitano l’uso di alcool.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il consumo di vino in Italia così come negli altri Paesi europei tradizionali produttori, come Francia e Spagna, è passato da 37 milioni di ettolitri della fine degli anni ’80 a meno di 25 milioni di oggi (-30% in 20 anni). Al contrario i nuovi consumi stanno crescendo in altre aree: Regno Unito (+94% rispetto a 20 anni fa), Usa (+47%), Russia (+63%), Cina (+160%). Rilevanti sono le opportunità di crescita per imprese e cooperative vitivinicole italiane nei mercati d’oltremare. Opportunità da cogliere utilizzando al meglio le risorse disponibili come i fondi OCM per la promozione.

=====SANDRO BOSCAINI
Presidente cantina Masi

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Certamente non può vivere di solo export, come di fatto non vive: gli italiani bevono il loro vino; il vero problema è che il consumo domestico sta segnando il passo, un fenomeno questo che non riguarda solo noi, ma tutti quei Paesi produttori in cui il consumo pro capite tende a ridursi favorendo le scelte più qualitative. Vogliamo che gli italiani tornino a bere di più? Serve per questo mettere in atto una politica di comunicazione che spieghi la naturalità e le virtù del vino come nobile prodotto della nostra tradizione più antica.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Nel mercato nazionale pesano sul calo di consumi fattori culturali legati a una dieta più cosciente nell’assunzione di calorie, a una sempre maggiore riduzione del pasto di mezzogiorno e a una politica altamente disincentivante del consumo del vino al ristorante per chi guida.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- La globalizzazione del consumo e dell’apprezzamento del vino favoriscono l’export. Sembra essere un fenomeno irreversibile e legato a una curiosità per il modello di vita mediterraneo in cui sono inclusi il nostro cibo e il nostro vino.

=====LUCA MARONI
Giornalista

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- No, non può e non deve vivere solo di export ma per rilanciare il mercato interno occorre avviare il Rinascimento Culturale Agricolo e Naturalistico del nostro Paese. Fino ad oggi il vino (e l’alimentare) non è mai stato percepito come prodotto di assoluta importanza e comunicato attraverso la sua luce e la sua natura e con i produttori posti al centro della scena. Occorre ora divulgare l’Italia del Vino e degli Alimenti come fenomeno e spettacolo naturalistico, luminoso, come esempio di bellissime umanità virtuosamente applicate. Come comparto modello da preservare, valorizzare, proteggere e sviluppare.

D- Il gap del mercato italiano di natura economica, culturale o un problema di comunicazione?
R- Di tutte e tre le nature, e per questo occorre individuare le risorse da investire per finanziare campagne educative istituzionali di comunicazione, da investire nella formazione, per assistere i produttori nella valorizzazione, nella commercializzazione, nella distribuzione e nella protezione contro la contraffazione. Occorre assolutamente e subito predisporre un progetto strategico per avviare il Rinascimento Culturale Agricolo e Naturalistico del Paese.

D- Perché al contrario il trend dell’export in crescita?
R- Perché gli stranieri amano incredibilmente il nostro Paese, che ai loro sensi come non altri rende sensazioni sopraffine. Impressioni di qualità non solo sensoriali e tecniche, ma storiche, paesaggistiche, artistiche, liriche e umane. Ai sensi di qualsiasi straniero il vino italiano è espressione massima dello spirito e dell’anima naturalistica e umana di questo Paese, di questa terra, della sua beltà e della sua innata, vitienologica arte.

=====CHIARA LUNGAROTTI
Presidentessa Movimento Turismo del Vino

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Sicuramente non si può puntare soltanto sull’ export: il mercato italiano rimane per moltissime aziende sempre un mercato importante nonostante la crisi che il Paese sta attraversando. Proprio per questo il turismo del vino può essere di grande aiuto per le aziende, non tanto in termini di vendita ma soprattutto di promozione. Incrementare le visite in cantina e nei territori del vino significa infatti aumentare la comunicazione e la consapevolezza della qualità del prodotto, sia per il turista italiano che per quello straniero che, una volta tornato a casa, diventerà un ottimo ambasciatore di quel prodotto con un’incidenza sulla sua conoscenza presso il pubblico e, di conseguenza, sulle vendite.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- L’attuale crisi economica ha senza dubbio il suo peso. Alla crisi, poi, si aggiunge un problema sul piano della comunicazione: in questi ultimi dieci-quindici anni sono arrivati sul mercato tanti piccoli produttori, che oggi necessitano di una riconoscibilità e visibilità e un posizionamento nel mercato.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il trend dell’export è in crescita perché alcuni Paesi stanno uscendo dalla crisi, o comunque vivono un trend di positività e di sviluppo grazie anche alla loro storica solidità; parliamo soprattutto dei Paesi europei e nord americani. Interessante anche il profilo di crescita di alcuni Paesi emergenti, che rappresentano nuovi mercati dinamici.

=====GIULIANO DELL’ORTO
Direttore Creativo RobilantAssociati

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Il nostro Paese ha maturato una forte cultura del bere moderato e di qualità. Naturalmente non può vivere solo di export, ma proprio per questo è necessario proseguire nella politica, già intrapresa, di accrescimento del valore del vino italiano a partire dal nostro mercato interno, sia in termini di qualità del prodotto, sia in termini di sistema. In questa direzione le singole cantine possono e devono fare molto. Attraverso la propria marca esse possono veicolare l’eccellenza e la ricchezza di un’offerta straordinariamente ampia e qualitativa, espressione di quel genius loci che è patrimonio esclusivo del nostro Paese.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Nei comportamenti di consumo degli italiani la cultura del vino rappresenta un aspetto radicato. La comunicazione e l’aspetto economico rivestono invece un ruolo fondamentale nella determinazione di questo distacco, essendo peraltro tra loro strettamente interconnessi. Il sistema vitivinicolo italiano ha una struttura frammentata costituita da realtà eccellenti ma spesso piccolissime, che non hanno singolarmente la forza economica per mettere in atto delle strategie di comunicazione tali da competere con i produttori esteri. Risorse limitate, tuttavia, non necessariamente precludono ogni possibilità di una comunicazione efficace. Al contrario in un momento congiunturale in cui la capacità di spesa delle aziende è necessariamente ridotta, l’imperativo diventa procedere a una buona revisione di tutti i livelli di comunicazione della marca per un’ottimizzazione della loro efficacia, mediante l’attuazione di un approccio sinergico e integrato. Poche regole di grande efficacia: focalizzare gli elementi distintivi e connotanti dell’impresa; definire un set di strumenti adeguati ed efficaci per la corretta comunicazione; costruire un linguaggio di marca unicizzante e facilmente riconoscibile; procedere a una razionalizzazione del portfolio d’offerta che sia coerente con la cultura dell’impresa e ben organizzato secondo le esigenze del consumatore; assicurarsi che i prodotti siano comunicati in maniera efficace da un packaging in grado di raccontarne la specificità.

D- Perché al contrario il trend dell’ export è in crescita?
R- Italianità è la risposta. Da una parte la qualità certificata e globalmente riconosciuta della produzione vitivinicola italiana, associata a una ricchezza e varietà di offerta che nessun altro Paese può vantare. Dall’altra l’insieme del portato intangibile che i vini del Bel Paese portano con sé, essendo portavoce di uno stile del vivere che il mondo intero ci invidia. Non a caso, sono soprattutto le marche che nella loro identità veicolano questo legame a beneficiare maggiormente dell’effetto traino da esso prodotto.

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=====GIUSEPPE MARTELLI
Direttore generale Assoenologi Presidente Comitato Nazionale Vini

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Una vitienologia strutturata come quella italiana sicuramente non può vivere di solo export. In Italia abbiamo circa 450.000 aziende che producono uva e poco meno di 25.000 che imbottigliano vino, in Australia dieci aziende fanno oltre il 90% di tutto il vino esportato nel mondo e in Cile su 120 realtà vitivinicole quasi 100 lavorano solo per l’esportazione. Il rapporto tra azienda e superficie vitata in Italia è poco meno di tre ettari contro i 300 di Cile e Australia.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il principale problema del vino italiano è la frammentazione della produzione che porta inevitabilmente a personalismi e individualismi. In poche parole ritengo che la prima cosa da fare per razionalizzare il settore sia quella di “potare” oltre alle viti i campanili. Cosa non facile visto che l’Italia è l’unico Paese vitivinicolo al mondo dove la vite si estende quasi ininterrottamente da Bolzano a Pantelleria, abbracciando storia e cultura di territori assai diversi. Molto si sta facendo, ma molto rimane da fare per unire maggiormente il settore, trovando soluzioni comuni nella logica che il concorrente non è più la regione o il paese vicino ma il mondo e che pertanto a livello nazionale bisogna capire che “uniti si vince”.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R-Come dicevo prima, in Italia abbiamo una vitienologia alquanto frammentata che in molti casi non possiede una massa critica sufficiente per affermarsi sui mercati internazionali. I consumi pro capite nel nostro Paese sono in netta diminuzione: negli anni ’70 facevano registrare 120 litri, oggi siamo a 43 litri e Assoenologi stima che entro il 2015 scenderemo al di sotto dei 40 litri. Pertanto l’esportazione costituisce l’unica valvola di sfogo della nostra produzione. Fortunatamente il vino italiano piace. Infatti mentre il 2009 è stato caratterizzato dalla instabilità dei mercati internazionali che, a fronte di incrementi di vendita hanno continuato a far registrare decrementi di introiti, da febbraio dell’anno scorso si è registrata un’inversione di tendenza tanto che, secondo Assoenologi, il 2010 potrebbe essere chiuso con quasi 22 milioni di ettolitri di vino italiano esportato per un introito di 3,8 miliardi di euro, la migliore performance degli ultimi 10 anni e che darà il necessario ossigeno al settore.

=====GIACOMO RALLO
Titolare di Donnafugata

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
Considerato che rappresentiamo il 17% della produzione mondiale, sarebbe assolutamente necessario ancorarsi ad un livello di consumi nazionali non inferiori ai 45 litri pro capite. Mentre attualmente stiamo scendendo a circa 40 litri pro capite.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il gap del mercato italiano è prevalentemente comunicazionale. Ancora oggi risulta troppo bassa la percentuale di investimento in marketing e attività promo-pubblicitaria, rispetto al fatturato globale del settore (inferiore al 3%). Per altro verso pesantissime sono state le conseguenze dell’azione politica rivolta a regolare, ma con l’effetto di penalizzare, i consumi fuori casa.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il vino italiano all’estero gode di due grandi fattori di competizione: a) un rapporto prezzo-qualità assolutamente appetibile; b) il favore generale del made in Italy.

=====ELEONORA GUERINI
Giornalista

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Credo che la questione sia complessa. Farei una prima significativa distinzione tra vini top di gamma e vini dal consumo diciamo quotidiano. Per i primi, che possono contare sull’unicità che esprimono, è indispensabile puntare molto sul mercato estero. Nel senso che la percentuale di popolazione che può permettersi vini dal prezzo alto è marginale. Se però questa marginalità è ben distribuita sulla popolazione mondiale allora il discorso cambia. Per gli altri vini è più complicato, in effetti una buona qualità non è sufficiente a controbilanciare l’appeal di un prodotto di qualità poco inferiore, ma in genere dai prezzi decisamente più bassi.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Un po’ tutte e tre le ragioni. Innanzitutto c’è un problema di relativa giovinezza del prodotto vino di qualità nel nostro Paese. In questa la Francia è il competitor. Trecento anni di storia in più sulle spalle hanno generato un’idea diffusa di esclusività e assoluta qualità. In realtà però credo fermamente che la qualità rappresentata dal vino del nostro Paese non sia in questo momento seconda a nessuno. Quello che si comunica non è la certezza di terroir senza eguali, la straordinaria qualità che alcune denominazioni assicurano. Piuttosto un complesso di inferiorità. Se penso a certi Cabernet Sauvignon californiani venduti negli Stati Uniti a oltre 250 dollari la bottiglia allora credo che in Italia qualcosa nel meccanismo non funzioni davvero.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- In genere, non solo in Italia, il vino non viene più vissuto come alimento. In questo senso credo che una diminuzione del suo consumo sia inevitabile. Sempre più, e non per forza solo per vini costosi e “famosi”, il consumo del vino è legato all’idea di un momento curato e pensato. Che sia a cena, all’ora dell’aperitivo, per festeggiare o anche per il gusto di degustare. Insomma il rito, diverso e diversamente circostanziato. Ma sempre meno casuale. In questo senso i produttori dovrebbero pensare ai propri prodotti.

=====ELENA MARTUSCELLO
Presidentessa Associazione Nazionale Le Donne del Vino

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- L’export è importante ma una realtà aziendale i cui plus sono valori immateriali intimamente legati al territorio su cui opera non può assolutamente prescindere dal mercato domestico. Le fluttuazioni monetarie e le politiche di marketing mix di Paesi emergenti rappresentano dei rischi concreti ma gestibili, l’importante è non disperdere la propria identità produttiva/culturale a favore di politiche di internazionalizzazione esasperate.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il gap è rappresentato dall’insieme di questi tre fattori. Economicamente, il vino di qualità costa. Probabilmente negli anni scorsi sono stati commessi alcuni errori, da parte dei produttori con l’aumento, talvolta immotivato, dei prezzi, ma anche di alcuni ristoratori che hanno applicato rincari troppo elevati. Culturalmente, il consumatore, pur avendo a disposizione diverse fasce di prodotti rispettabili, non riesce ancora a riconoscergli il giusto valore. Per quanto riguarda la comunicazione, credo se ne faccia anche troppa, ma non sempre è appropriata o incisiva. Sarebbe importante diffondere il modello nutrizionale rappresentato dalla dieta mediterranea, i cui ingredienti principali sono cerali, frutta e verdura, pesce, carne, prodotti caseari, e, sottolineo, vino. Diversi studi hanno confermato, infatti, che un moderato consumo giornaliero di vino arricchirebbe la nostra dieta.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Il trend dell’export è in crescita innanzitutto per la presenza sul mercato di nuove economie su cui spiccano la Russia e la Cina, a ciò si aggiunge che finalmente anche i Paesi europei e nord-americani hanno iniziato a capire l’importanza delle varietà autoctone che compongono l’ampia offerta del vino italiano.

=====ALBERTO ALESSI
Alessi spa

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Certo non sarà facile, ma del resto cosa è rimasto di facile per le imprese di oggi sui mercati globalizzati?

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- A mio parere tutto parte da un gap culturale: c’è una incompleta comprensione del fatto che l’Italia è uno dei primi e fondamentali Paesi nella storia del vino dall’antichità a oggi e non è capace di valorizzare questa valenza in modo adeguato. Il mondo della produzione vinicola non si rende conto che è ancora – in termini generali – ancorato a criteri quantitativi invece di puntare sulla qualità che, sola, potrebbe riscattarlo da una triste sorte. Ancora oggi sono troppi i vini italiani di qualità scadente!

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Penso sia dovuto semplicemente al fatto che nel passato non si è operato sui mercati esteri in modo sufficientemente dinamico.

Databank Database Tabella csv excel xls Case Vinicole Cantine

=====FEDERICO CASTELLUCCI
Direttore generale OIV

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- L’influenza della crisi si è fatta sentire, l’Italia ha dovuto prendere atto della situazione e ha reagito. Con l’eccezione della Spagna, i Paesi tradizionalmente produttori e consumatori (Italia con 24,5 Miohl) hanno praticamente visto il loro consumo del 2010 stabilizzarsi sul livello del 2009. Un forte flusso di export deve rimanere il punto chiave della politica vitivinicola italiana, cercando di aumentare non solo la quantità, ma anche il prezzo per litro del vino esportato.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il gap italiano é prevalentemente comunicazionale e di modifica delle abitudini di consumo, ma la crisi economica ha senza dubbio avuto le sue influenze. L’Italia mantiene la prima posizione mondiale per volume di esportazione con il 20% ed é tra i primi consumatori pro capite (40,5 litri), ma può sicuramente migliorare con una politica mirata di marketing ed immagine. La qualità del vino italiano non é in discussione e con un programma di comunicazione, che sottolinei gli effetti benefici di una corretta assunzione, e una promozione dell’immagine dei vini legati a tradizioni culturali, territoriali e al piacere del consumo di un prodotto di qualità e controllato, l’Italia potrà guadagnare ulteriori spazi. Si deve lavorare in materia di comunicazione sopratutto sui «youngs adults», la generazione che va dai 20 anni in su.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Negli ultimi c’é stato un rallentamento delle vendite dei produttori europei, con i consumatori che si sono indirizzati verso i vini del Nuovo Mondo. Nel 2010 si è vista la tendenza a un ritorno ai prodotti più tradizionali, rappresentati da Italia, Francia e Spagna. Quello che ora preoccupa é la quota del mercato del vino sfuso con gli scambi in aumento. Ciò prevede il rafforzamento della complessità degli scambi, nei quali la quota dedicata alle re-esportazioni, in particolare nell’ambito degli scambi transcontinentali, é in crescita. Ad esempio, l’Olanda sta diventando un’importante piattaforma di confezionamento e rie-esportazione. A livello mondiale il vino sfuso rappresenta 105 Miohl, cioé il 40% della produzione e il 10% valore degli scambi. Sul lungo periodo questo fenomeno potrebbe trascinare il vino a livello di commodity, e non valorizzare la diversità e un certo tipo di qualità.

=====MASSIMO BERNETTI
Presidente Umani Ronchi

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Nella domanda è già implicita in un certo senso la risposta: è evidente che il vino italiano non può vivere di solo export, ma d’altra parte non potrebbe vivere del solo mercato Italia; sono mercati diversi ma fondamentali entrambi. Ritengo quanto meno “bizzarra” questa discussione che sta nascendo sulla maggiore importanza dell’uno o dell’altro mercato visto che, con l’altissimo livello di competizione che stiamo vivendo, sarebbe un errore mortale non combattere su tutti i fronti.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Il gap del mercato Italia nasce da numerosi fattori. È stato di certo influenzato da tutta una serie di cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi anni: dalle diverse occasioni di consumo, ai fattori dietetici, all’aumento delle percentuali di immigrati non consumatori, solo per citarne alcuni. Si impongono inoltre tante nuove limitazioni, non ultime quelle relative al drink&drive, che hanno fatto scendere drasticamente i consumi pro capite di vino. Sicuramente il problema di comunicazione c’è stato ed esiste, e penso che è su questo aspetto che dovrebbero concentrarsi le associazioni dei produttori esaltando gli aspetti positivi del vino.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- È vero, il trend dell’export è in crescita. Ma dal mio punto di vista penso si tratti di un aumento di quantità piuttosto che di qualità. Lo considero comunque, almeno in parte, un dato positivo, per quanto meno entusiasmante di quanto potrebbe apparire ad un’analisi superficiale. Inoltre la globalizzazione e la facilità di approcciare i mercati internazionali hanno fatto il resto, aiutati senz’altro dal fascino del made in Italy e in particolare della cucina italiana all’estero.

=====GIORGIO DELL’OREFICE
Giornalista Agrisole-Il Sole 24 Ore

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Il primo Paese produttore deve guardare con sempre maggiore attenzione all’export. I consumi in Italia sono stati messi fuori gioco dal progressivo cambiamento degli stili di vita (oggi è richiesto un apporto calorico minore rispetto a quando si lavorava prevalentemente nei campi o in fabbrica ed è difficile tornare indietro) e, soprattutto, dalle campagne antialcol. Vere e proprie crociate combattute senza distinguere fra vino e superalcolici e fissando limiti così bassi da penalizzare anche chi opta per un consumo moderato.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Non tutti i trend che si riscontrano in Italia sono negativi. E molto lavoro è stato fatto. È vero che calano i consumi pro capite ma cresce la qualità. La stessa grande distribuzione (dalla quale ormai passa il 60% delle vendite di vino) si sta sempre più trasformando in enoteca, visto che oltre due terzi delle quantità vendute sono rappresentati da vini Doc e Docg. Inoltre, i vini con un prezzo superiore ai 6 euro sono quelli che hanno mostrato il maggior trend di crescita (+11,5%). Fra gli scaffali lo spazio per i consumi di qualità è ancora ampio.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- L’export macina record perché nuovi mercati si aprono ai vini made in Italy. Compresi i Paesi del Nord Europa, ovvero quelli con limiti antialcol anche più stringenti dei nostri. Paesi che mostrano ritmi di crescita molto rapidi. Come ad esempio la Russia, fino a pochi anni fa solo una promessa mentre nel 2010 ha effettuato acquisti per 104 milioni di euro diventando il quarto “cliente” del vino italiano. L’export è sempre più una strada obbligata da percorrere puntando sulla qualità e varietà del vino italiano e sul grande appeal del brand Italia.

=====ROBERTO MASULLO
Buyer vini e spumanti Billa Italia

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Il mercato estero rappresenta indubbiamente un’ottima opportunità di crescita per il settore e negli ultimi anni ha consentito ai produttori di segnalarsi per la qualità dei propri prodotti. Il trend delle vendite oltre frontiera, però, è storicamente condizionato da fattori estemporanei e legati a “momenti” (tendenze di consumo, fluttuazione dei costi di produzione, profonda diversità di legislazione e regolamenti da Paese a Paese) che rendono difficile il consolidamento delle posizioni conquistate. Ritengo, quindi, che i produttori possano difendersi solo con una più solida politica commerciale sul territorio di casa.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- L’attuale congiuntura economica è sicuramente condizionante in negativo, ma non solo per il mercato del vino e non solo per l’Italia. Direi che la crisi dei consumi sia causata da fattori culturali, intesi come nuove e diverse abitudini al consumo. Fino a pochi anni fa il vino era considerato un alimento tout-court ed era una componente abituale delle tavole degli italiani. Ora si tende a consumarlo in modo più attento, in occasioni e momenti circoscritti che premiano sì la qualità di ciò che si beve, ma riducono fatalmente le uscite.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- A mio parere si è allargato l’Atlante dei Consumi, inteso come numero di Paesi che oggi, più di ieri, consumano il vino e ciò determina un effetto-elastico domanda-offerta. La sfida del futuro consisterà proprio nella gestione oculata delle potenzialità offerte dai nuovi mercati e i produttori, soprattutto quelli più piccoli e meno strutturati, dovranno avere il coraggio di operare le scelte giuste in termini di orientamento e di mantenimento degli standard produttivi

=====ANDREA CIMENTI
Amministratore delegato Acqua Group

D- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
R- Di solo export no ma sicuramente bisogna approfittare del momento favorevole soprattutto per quanto riguarda le esportazioni nei Nuovi Mondi. Negli ultimi anni si sono adottate strategie che hanno fortemente promosso il made in Italy nel mondo tramite la comunicazione di valori quali la territorialità, la tradizione, la cultura e l’enogastronomia. Questi stessi valori vanno proposti anche in Italia per contrastare questa latente sfiducia del consumatore dovuta prevalentemente ad una crisi economica che sta portando ad un sostanziale cambiamento delle abitudini di consumo.

D- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
R- Direi prevalentemente di natura economica e culturale. Economica perché la crisi ha portato a un ridimensionamento del carrello della spesa con una conseguente flessione dei prodotti alimentari, anche non superflui. Lo stesso vale poi in misura più accentuata per i consumi out-of-home. Culturale perché alcune iniziative come l’inasprimento dei controlli e delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza non ha certo aiutato i consumi, soprattutto fuori casa. Per quanto riguarda la comunicazione direi che gli investimenti sono diminuiti anche se qualche sforzo è stato fatto: l’aumento ad esempio delle vacanze enogastronomiche anche in formula “economy”, penso agli smartbox che offrono weekend all’insegna del gusto o degustazioni varie, può rappresentare un alternativo canale promozionale.

D- Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?
R- Vanno considerati due elementi: il primo riguarda i mercati storici e il secondo i mercati emergenti. Paesi come Germania e Stati Uniti mostrano un trend positivo delle importazioni di vino italiano e quindi rappresentano un indubbio fattore di compensazione rispetto alla diminuzione delle quote nostrane. A ciò si aggiunga che Paesi emergenti come Cina, Hong Kong e Russia, seppur con valori assoluti più contenuti, evidenziano percentuali di crescita importanti anche in funzione dell’enormità della popolazione. Su tutti la considerazione che il made in Italy all’estero continua ad avere il suo appeal che lascia un’impronta non indifferente.

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