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Ha destato molto cordoglio la notizia della scomparsa di Beppe Rinaldi detto “Citrico”, uno degli interpreti più autentici della Langa che se n’è andato a settant’anni. La notizia della morte dalla tarda sera di domenica 2 settembre ha fatto presto il giro del web, per uno che di computer e di modernità non era certo un fan. Un protagonista indiscusso del mondo del vino langarolo, portabandiera della filosofia del fare vino in maniera tradizionale.

Conosciuto con il soprannome di “Citrico”, per i suoi giudizi taglienti e per l’abitudine a essere sempre sincero e mai accomodante, uno stile ereditato dal padre Battista Rinaldi, già sindaco di Barolo negli anni in cui riuscì a far diventare di proprietà comunale il castello Falletti. Un personaggio che lascia un grande vuoto nel mondo del vino, lui che si definiva anarchico e difensore di un modo di interpretare il Barolo fedele alla tradizione della botte grande, in grado di produrre vini mitici ma al tempo stesso bottiglie non sempre immediatissime, vini ostinati e contrari.

Non abbiamo la pretesa di tratteggiare un profilo del Rinaldi pensiero, da attenti osservatori possiamo constatare come negli ultimi tempi aveva preso a cuore la causa delle sue amatissime Langhe, contro un modello vino-territorio in grado si di produrre vini conosciuti in tutto il mondo, ma che stavano secondo Rinaldi portando le logiche di profitto e speculazione ad avere la meglio sul rispetto del territorio, con al centro della questione anche il paesaggio ormai troppo vitato, il turismo eno-gastronomico e il concetto di Cru. In tutto questo in uno scenario in cui le vigne ormai quotano 2 milioni di euro a ettaro, un giovane non sarà forse più in grado oggi di poter acquistare della terra partendo da zero. Il testimone e l’eredità di Beppe Rinaldi passano nelle mani della moglie Annalisa e delle figlie Marta e Carlotta, di fatto da alcuni anni in cantina, per continuare a regalare dei grandi vini che faranno continuare a vivere lo spirito di Citrico.

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