Continuano le interviste dedicate al mondo del caffè, nate con l’obiettivo di comprendere le dinamiche strategiche che guidano le aziende del settore: come affrontano le sfide, quali minacce si trovano a gestire e come riescono a trasformare i cambiamenti in opportunità. Oggi ci confrontiamo con Enrico Bendinelli, titolare della Torrefazione Caffè Roen, azienda fondata dal padre nel 1979. L’azienda oggi è aperta ai mercati esteri, soprattutto europei ed extraeuropei ma con un aspetto che resta fondamentale: il mantenimento della dimensione artigianale del prodotto, la sua qualità e il risultato in tazza.

- Come percepite in azienda il mercato del caffè, in Italia e all’estero?
«Il mercato oggi è attraversato da dinamiche complesse, spesso difficili da comprendere anche per noi che lavoriamo nel settore, e negli ultimi 5-6 anni, queste dinamiche sono cambiate radicalmente».
- Quali sono i maggiori cambiamenti e le criticità che avete notato?
«Il cambiamento climatico ha sicuramente avuto un impatto rilevante nei principali paesi produttori, come Brasile e Vietnam, causando un deficit di prodotto rispetto alla domanda. Poi vi sono problematiche legate alla logistica e a un mercato del caffè crudo fortemente influenzato dalle quotazioni di borsa. La speculazione, spinta anche dai produttori che aspettano momenti favorevoli per vendere, rischia di far lievitare i prezzi a livelli insostenibili per la domanda. La maggior parte dei consumi si concentra poi negli Stati Uniti, in Brasile e, complessivamente, in Europa. Ma, a parte forse il Brasile, questi mercati sono oggi segnati da inflazione e instabilità economica, è quindi difficile pensare che possano reggere a ulteriori aumenti di prezzo. Le dinamiche di mercato sono diventate imprevedibili».
- Quali sono le ricadute che percepite sul mercato del caffè torrefatto?
«L’incertezza. Nella nostra zona abbiamo notato una sorta di accettazione nell’aumento del prezzo dell’espresso al bar, non ci sono state reazioni particolari da parte dei clienti. Forse si inizia ad accettare l’idea che un espresso possa costare anche 1,50 euro, anche se in generale siamo ancora ben sotto quella soglia di prezzo. I prezzi qui sono più contenuti rispetto alle grandi città italiane e decisamente più bassi rispetto all’estero, dove un espresso può costare anche due o tre euro».
- Questa differenza di prezzo a cosa può essere attribuita?
«Sicuramente alla cultura del consumo. In Italia l’espresso si consuma velocemente al banco. All’estero invece si consuma seduti, con calma. Questo cambia totalmente la percezione del prodotto e del suo valore. Inoltre, il consumatore medio non ha strumenti per valutare la qualità del caffè, anche perché frequenta sempre gli stessi bar e non ha dei termini di paragone. È fondamentale educare e informare per riconoscere all’espresso il vero valore che possiede, e in Italia non si dà importanza al prodotto ma più alla situazione in cui lo si consuma».
- Queste dinamiche che impatto hanno avuto sui bar?
«Un bar per essere sostenibile dovrebbe consumare almeno 4 kg di caffè a settimana, per coprire i costi dell’attrezzatura e dei servizi accessori. Ma oggi molti locali non raggiungono queste soglie. Gli stessi produttori di macchine da caffè hanno due linee: una economica per l’Italia e una premium per l’estero. È un chiaro segnale che in Italia, per vendere, si punta sul servizio, non sulla qualità. Questo deriva da una cultura del prezzo basso».
- E come si può cambiare questa situazione?
«Il mondo del vino può essere preso come esempio, pagare una bottiglia 100 euro è normale, anche il settore del gin ha visto un notevole aumento della qualità e dei prezzi. Il consumatore paga anche 15 euro per un gin tonic con botaniche particolari, ma se si chiede un prezzo ‘troppo’ alto per un espresso con caratteristiche specifiche, spesso il cliente è scettico. Questa situazione ha poi conseguenze lungo tutta la filiera: per mantenere margini con un prezzo basso, si taglia sulla qualità, sulla formazione e sul personale. In paesi come l’Australia i baristi sono molto più preparati, questo è possibile perché il prezzo del caffè è più alto e consente di investire in attrezzature e in formazione. Il cliente riconosce e paga la qualità, e il barista viene valorizzato».
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- Un suggerimento per migliorare questa percezione dell’espresso?
«Raccontare una storia può essere utile. Serve un mix di scienza e passione. Solo così si stimola l’interesse del pubblico e si valorizza il prodotto».
A cura di Andrea Terzi e Michela Scaglia.
+ INFO: www.coffeetasters.org/