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Se per gli assaggiatori è d’obbligo bere il caffè amaro, per i puristi è una specie di religione. D’accordo con i primi, un po’ meno con i secondi: lo zucchero ha la straordinaria capacità di aumentare la persistenza aromatica (attenzione: sia per i caffè buoni, sia per quelli cattivi), migliora la percezione sferica e il corpo e, agendo sinestesicamente, deprime l’amaro consentendo anche a quanti sono particolarmente sensibili a questo sapore di concentrasi maggiormente sugli aromi e quindi di aumentare il piacere che ricavano dall’atto di consumo, sempre che il caffè sia buono.

Parliamo però di zucchero, non dei dolcificanti. Questi, al di la dei dubbi igienici che ogni tanto traspaiono dal mondo che si occupa della salute, non hanno le stesse virtù sensoriali dello zucchero e non di rado incrementano l’amaro o comunque lasciano retrogusti strani. Ma quando parliamo di zucchero non ci riferiamo solo al saccarosio. Anzi, da un po’ di tempo ci stiamo chiedendo perché il mondo del caffè non privilegi il fruttosio. Non solo ha un maggiore potere dolcificante (e quindi a parità di dolcezza apporta meno calorie) e un metabolismo più lento (evita quindi i picchi glicemici), ma da diverse sperimentazioni condotte nel caffè migliora la percezione dei fiori e della frutta fresca deprimendo le punte del tostato che per una certa fascia di consumatori possono essere poco gradite.

A cura di Luigi Odello
(Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè)

+info: Coffee taster www.assaggiatoricaffe.it

Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè
c/o Centro Studi Assaggiatori Soc. Coop.
Galleria Vittorio Veneto 9
Brescia

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