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Il 68° Congresso nazionale dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani (Assoenologi), ossia dell’organizzazione nazionale di categoria che nel nostro Paese rappresenta i tecnici del settore vitivinicolo, si svolgerà dal 4 al 7 luglio in Piemonte, ad Alba. Politica, tecnologia e mercati gli argomenti che saranno trattati. La cerimonia inaugurale imperniata sul mezzo secolo dei vini Doc italiani. Le tre sessioni di lavoro comprendono oltre dodici ore di confronti, relazioni e dibattiti. “Cinquant’anni di doc: il territorio, il vino e l’enologo” è il titolo generale dell’evento la cui cerimonia inaugurale sarà imperniata sul mezzo secolo dei vini Doc italiani. Le tre sessioni di lavoro comprendono oltre dodici ore di confronti, relazioni e dibattiti su temi tecnici e commerciali.

La competitività del settore vitivinicolo italiano tra tradizione e innovazione

 Le tre sessioni di lavoro focalizzeranno i seguenti argomenti:

… “L’approccio al mercato del vino. Le esperienze di Piero Antinori, Angelo Gaja e Angelo Maci”,

… “Il Piemonte il suo territorio i suoi vini”

…“La viticoltura del nuovo Mondo alla luce delle recenti condizioni climatiche. Le esperienze di Bob Bertheau, Alberto Antonini, Len Knoetze e Heinè Janse van Rensburg”

 Il primo momento di vivo interesse del 68° Congresso nazionale di Assoenologi è rappresentato dalla cerimonia inaugurale, imperniata sui cinquant’anni delle denominazioni di origine dei vini italiani. Una ricorrenza che vede il Piemonte in pole position per l’alto numero di Dop (58 di cui 42 Doc e 16 Docg).

 Il giorno successivo “L’approccio al mercato del vino: le esperienze di Piero Antinori, Angelo Gaja e Angelo Maci”: tre protagonisti del successo del vino italiano nel Mondo che esporranno la loro visione del mercato in Italia e oltre frontiera basandosi sulle esperienze maturate in anni di intenso e qualificato lavoro. Il marchese Piero Antinori è il presidente della “Marchesi Antinori”, famiglia che si dedica alla produzione vinicola da più di seicento anni, attraverso ventisei generazioni. I suoi vigneti ammontano a 3.500 ettari distribuiti in otto tenute in Italia e sette all’estero ubicate in zone altamente vocate. La famiglia Gaja si stabilì in Piemonte a metà del XVII secolo. Quattro generazioni si sono succedute nella produzione del vino da quando Giovanni Gaja, nel 1859, fondò la cantina, a Barbaresco. Angelo Gaja, enologo, fece proprie le scelte che erano già di suo padre e di suo nonno che da sempre hanno puntato sui vini di alta qualità. Anche l’enologo Angelo Maci ha iniziato la sua attività nella cantina del nonno per fondare, nel 1989, la Società Cooperativa Due Palme, in seguito trasformata in Cantine Due Palme, con sede a Cellino San Marco, che vende il 90% della sua produzione all’estero.

 Venerdì 5 luglio, nel pomeriggio, saranno presentate dal presidente della Sezione Piemonte Assoenologi Piergiorgio Cane e dal presidente nazionale Riccardo Cotarella, alcune delle perle enologiche della terra ospitante. Il Piemonte è certamente terra di vini di alta qualità. I suoi 46.540 ettari di vigneto danno ogni anno da 2,4 a 2,8 milioni di ettolitri di vino esportati in tutto il Mondo. Difficile quindi presentare, in un contesto congressuale, le molteplici sfaccettature dell’enologia piemontese. L’analisi sensoriale, organizzata nei capienti saloni della Locanda Gancia, a Santo Stefano Belbo, riguarderà quindi da una parte i vini più prestigiosi e storici e dall’altra nuove ma emergenti produzioni.

Lo scorso anno a bordo della “Costa Atlantica” è stata dedicata un’intera giornata dei lavori congressuali ai “Cambiamenti climatici: ripercussioni e rimedi in vigneto e in cantina”. Quest’anno la problematica verrà ripresa con un taglio diverso, basato sull’esperienza di alcuni colleghi operanti in Usa, Argentina e Sudafrica, zone in cui le temperature sono superiori alle nostre e le precipitazioni decisamente inferiori. I relatori ci spiegheranno come hanno risolto le problematiche legate al clima, attraverso sistemi di coltivazione e tecnologie. “La viticoltura del nuovo Mondo alla luce delle recenti condizioni climatiche” è quindi il tema che sarà affrontato dalle tre relazioni che esprimeranno concetti del tutto innovativi e sotto certi aspetti inconsueti.

 L’enologo Bob Bertheau, direttore tecnico di Chateau S. Michelle – Columbia Valley (Usa) parlerà di come una viticoltura di qualità può essere condotta anche in zone desertiche. Alberto Antonini, consulente vitivinicolo di diverse importanti aziende di Mendoza (Argentina), esporrà le esperienze condotte in vigneti dove la piovosità annuale non arriva a 200 millimetri concentrati nel periodo estivo con fenomeni violenti e scarsa assorbibilità del terreno.

Gli enologi Len Knoetze e Heinè Janse van Rensburg, rispettivamente direttore tecnico e responsabile del settore viticolo di Namaqua Wines (Sudafrica) illustreranno come hanno sopperito alle difficoltà delle alte temperature e della scarsa piovosità con opportune tecniche colturali in un Paese dove le precipitazioni annue non arrivano a 100 millimetri.

Riferimenti storici sull’Associazione

 La storia dell’Associazione Enologi Enotecnica Italiani – Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo – Assoenologi, nasce in Piemonte, ad Asti, nel 1891 per conto di 46 colleghi, determinati e provenienti da ogni parte della penisola. Oggi l’Assoenologi raggruppa e rappresenta 4.000 professionisti, ossia il 90% dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati. La storia dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani – Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo – Assoenologi, ossia della più antica associazione del settore al Mondo, nasce proprio in Piemonte, ad Asti, nel 1891 quando Arturo Marescalchi, in occasione del primo “convegno” della categoria, fondò la “Società degli Enotecnici Italiani”, cioè la progenitrice dell’attuale Assoenologi.

 Vi parteciparono solo 46 persone, provenienti però da ogni parte della penisola e determinate a dare vita a un organismo che “raggruppando le forze disseminate in ogni dove d’Italia, tutelasse i comuni interessi, senza perdere di mira la prosperità dell’industria vitivinicola italiana”. La sede, fissata a Conegliano (Treviso), fu trasferita nel 1916 a Milano dove da 97 anni è ubicata. Con l’avvento del fascismo la “Società degli Enotecnici Italiani” fu sciolta per essere ricostituita nel 1946, sempre in Piemonte, alla Scuola Enologica di Alba per opera di Giuseppe Asnaghi, che la trasformò in “Associazione Enotecnici Italiani”.

 Nello stesso anno, a Milano, fu organizzato il primo congresso del dopoguerra, un evento che, ininterrottamente da 68 anni, viene riproposto come il più importante appuntamento della categoria. Il passaggio da “Associazione Enotecnici Italiani” ad “Associazione Enologi Enotecnici Italiani” avvenne in occasione del 46° congresso nazionale celebrato a Trento nel 1991 quando, con i primi 100 anni di attività, si festeggiò l’approvazione della legge 10 aprile 1991 n. 129, voluta con caparbietà dall’Assoenologi per riconoscere ufficialmente il titolo di enologo e stabilirne l’attività di competenza, aprendo così ai tecnici vitivinicoli italiani le porte professionali dell’Unione Europea.

 Nel 1920 l’associazione contava cento iscritti, nel 1950 seicento, nel 1980 poco più di 1.700. Oggi ne raggruppa e rappresenta quattromila, pari a circa il 90% di tutti i tecnici vitivinicoli attivamente impegnati nel settore. Una storia che gli enologi e gli enotecnici italiani sono chiamati a continuare a vessillo di quegli ideali che, immutati, da 122 anni coinvolgono migliaia di colleghi che hanno voluto far crescere “una categoria importante perchè importante è il ruolo dei suoi associati.

Il ruolo dell’enotecnico e dell’enologo per il progresso del settore vitivinicolo e l’affermazione del vino italiano nel mondo

 Dal flagello della Fillossera ai successi del vino italiano sui mercati internazionali, il fondamentale ruolo svolto dall’enotecnico e dall’enologo per l’evoluzione del comparto in oltre 130 anni di storia. Nel 1876 a Conegliano (Treviso) nasce la prima Scuola di viticoltura e di enologia d’Italia, seguita da Alba (Piemonte). Nel 1991 il Parlamento italiano riconosce il titolo di enologo e ne stabilisce l’ordinamento professionale. Anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità, non sana i bilanci delle aziende e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico alimentare, senza tecnologia solo causalmente può essere di qualità. E quando si parla di tecnologia si parla di tecnici, nel settore vitivinicolo di enologi e di enotecnici, ossia i professionisti rappresentati nel nostro Paese dall’Associazione enologi enotecnici italiani (Assoenologi). Per dimostrare il ruolo che l’enotecnico prima e l’enologo poi hanno avuto per il miglioramento e il progresso della vitienologia e che ha nell’attuale gestione del comparto, basta ripercorrere le principali tappe che hanno caratterizzato la trasformazione del settore.

 Tra la metà e la fine dell’Ottocento, la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre gravi parassiti: l’oidio, la fillossera e la peronospora. La viticoltura europea uscì da questo trauma profondamente trasformata, certamente turbata, ma consapevole che il suo futuro era legato alla ricerca, alla sperimentazione, ad una tecnologia capace di sopperire ad eventuali nuove calamità. Il pericolo e le preoccupazioni che i tre parassiti suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali che dal tempo di Columella e Virgilio venivano tramandate da padre in figlio, bensì che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, di biologia, di fisiologia, studiando e ricercando le cause che stanno alla base di ogni fenomeno. Si capì che la tradizione da sola non indirizzava i viticoltori, non combatteva le calamità. Nel 1876 nasceva così a Conegliano (Treviso) la prima Scuola di enologia d’Italia, con lo scopo di assicurare uomini specializzati, preparati, in grado di seguire e far proseguire, su basi scientifiche, il settore vitivinicolo nazionale. L’enotecnico venne a costituire il fattore determinante su cui si sarebbe basata tutta la vitienologia.

 Vini migliori, senza difetti significarono mercati più facili, crescita delle richieste e, per i viticoltori, produzioni più remunerative. Nacquero le prime cantine sociali, dirette da enotecnici, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quegli agricoltori che, per mancanza di attrezzature e di conoscenze, spesso vedevano vanificate intere annate. Si perfezionò la fermentazione in bianco, quella a temperatura controllata, si diede sempre più importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina: la qualità della produzione vinicola italiana aumentò sensibilmente. Anche il modo di vendere e di acquistare cambiava. Per praticità, igiene e razionalità, alla damigiana andava sempre più sostituendosi la bottiglia anche per i vini comuni, “quelli di tutti i giorni”. In cantina una metamorfosi di questo genere implicò una più rispondente organizzazione, l’adozione di tecnologie più avanzate nella difficile pratica dell’imbottigliamento. Ezio Rivella, per dodici anni presidente dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, mise a punto una tecnologia di imbottigliamento che avrebbe garantito stabilità al vino permettendogli di attraversare l’oceano senza particolari problemi biologici.

 Questa profonda metamorfosi, che costituisce poi la storia degli ultimi 130 anni della nostra enologia, ha avuto e ha, a livello tecnico, un protagonista principale: l’enotecnico, oggi enologo. Non a caso da oltre cent’anni la quasi totalità delle cantine italiane di una certa importanza si affida, direttamente o indirettamente, a questo professionista. Per rendersi conto di ciò, basta andare a vedere chi è il direttore o il responsabile di produzione delle principali entità vitivinicole ed enologiche italiane o sfogliare le oltre 850 pagine che compongono l’Annuario degli enologi enotecnici italiani. Con l’apertura delle frontiere europee, non solo alle merci ma anche alle attività intellettuali e quindi alle professioni, a fine anni ’80 nacque la necessità di individuare i tecnici vitivinicoli italiani. Questa esigenza coincise anche con la necessità di far riconoscere in Italia il titolo di enologo, visto che era assurdo che uno dei primi Paesi vitivinicoli del mondo non avesse un professionista riconosciuto, ma solo una qualifica professionale, quella di enotecnico, cioè di perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia.

 Per risolvere questi problemi l’Assoenologi promosse la promulgazione di una legge atta a riconoscere in Italia il titolo di enologo, fissandone la preparazione a livello universitario, così come sancito dalle direttive comunitarie e stabilendone l’ordinamento professionale. Essa fu approvata dal Parlamento italiano il 10 aprile 1991 con il n. 129. L’articolo 1 della legge non solo sanciva attraverso quali corsi l’enologo doveva essere formato, ma anche che gli enotecnici con tre anni di attività specifica e continuativa nel settore potevano acquisire, dopo il vaglio di una Commissione interministeriale, il titolo di enologo. Questa commissione valutò quasi 3.500 pratiche, riconoscendo il titolo di enologo a 2.953 professionisti ovviamente tutti già attivamente impegnati nel settore. I suoi lavori terminarono nel 1994 e, per questa ragione, da quella data il tecnico del vino in Italia è diventato l’enologo.

 Nel 1997, con decreto, il Ministero delle politiche agricole demandò all’Associazione Enologi Enotecnici Italiani la gestione del titolo di enologo e la stampa, da parte del Poligrafico dello Stato, del relativo diploma. Il titolo di enologo altro quindi non è che la logica evoluzione della qualifica di enotecnico, così come la preparazione universitaria la giusta evoluzione della già valida formazione garantita per oltre cento anni dal corso sessennale. Nel nostro Paese operano circa 4.300 tecnici vitivinicoli di cui il 40% inquadrato con mansioni direttive in cantine private e cooperative, il 10% svolge l’attività di libero professionista, mentre la rimanente percentuale è inserita con mansioni diverse.

I contenuti che hanno contraddistinto i piu’ recenti congressi nazionali di assoenologi.

 I contenuti dei Congressi nazionali di Assoenologi hanno sempre lasciato il segno. Leggendo le risoluzioni e le prese di posizione dei diversi eventi che, dal dopoguerra a oggi, anno dopo anno, ininterrottamente si sono alternati, si ha l’idea di ripercorrere le tappe che hanno scandito i momenti importanti dell’enologia italiana. Di seguito sintetizziamo quelle degli ultimi anni. Nel 2003 a Sorrento gli enologi denunciarono la necessità di più razionali e coordinati controlli, nel contempo misero in guardia l’Italia del vino sulle strategie che Australia e Cile stavano con successo attuando attraverso programmi pluriennali di commercializzazione e sviluppo.

 Nel 2004 a Reggio Calabria l’Assoenologi aprì con le categorie un costruttivo confronto sulla riforma della legge 164/92 avanzando concrete proposte. L’allora Sottosegretario di Stato con delega alla vitienologia presentò al Congresso la stesura definitiva della proposta di modifica della legge. Nel 2005 a Taormina i tecnici del vino iniziarono a parlare di “cambiamenti”, mettendo a fuoco “il futuro”, partendo dalla mec-canizzazione del vigneto per arrivare alla genomica e alla proteomica. Nel 2006 a Ischia il Congresso concentrò la sua attenzione sui mercati potenziali denunciando che esportiamo il 90% dei nostri vini in soli 11 Paesi e che pertanto occorreva conquistare anche gli altri, sparsi per il Mondo. Nel 2007 a bordo della “Costa Victoria” l’Assoenologi fece il punto sulla riforma dell’Ocm vino, proponendo di procrastinare la sua entrata in vigore dal 1° agosto 2009 al 1° agosto 2010, ma purtroppo non fu ascoltata e oggi sono in molti a “mordersi le mani”.

 Nel 2008 a Venezia spronò il settore ad “uscire dal guscio”, ad “aprirsi al confronto” per essere sempre più competitivo e “continuare a vincere le sfide della concorrenza”. Nel 2009 ad Ascoli Piceno la categoria, a fronte del costante calo dei consumi interni, dichiarò che l’unica valvola di sfogo è l’export. Oggi quasi il 50% della produzione del vino italiano viene venduta con successo all’estero. Nel 2010 a Merano l’Assoenologi fece un focus sulla crisi che stava montando e puntò il dito sulle piaghe che affliggono il settore. Presentò il recente Dlgs 61/2010 che aveva raccolto gran parte delle posizioni presentate dalla categoria. Nel 2011 a Orvieto festeggiammo i 120 di fondazione dell’Assoenologi, non senza tralasciare gli aspetti tecnici sviluppati all’insegna “Il progresso si può rallentare ma non fermare” e allo slogan “produrre per vendere”. Nel 2012 a bordo della “Costa Atlantica” i tecnici vitivinicoli italiani denunciarono apertamente le problematiche riferite ai cambiamenti climatici, proponendo alcune soluzioni atte a tramutare criticità in opportunità.

 Il 68° Congresso nazionale di Assoenologi si svolge con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali della Repubblica Italiana. Sponsor ufficiali le seguenti aziende leader di macchine, prodotti e accessori per la viticoltura e l’enologia: Amorim Cork Italia, Bayer Cropscience, Colombin & Figlio, Enartis, Enò, Enoplastic, Fabbrica Botti Gamba, Gai Macchine Imbottigliatrici, L’Enotecnica, Mas Pack Packaging, Nomarcorc, Pall Italia, Robino & Galandrino, Vason Group, Vetri Speciali, Vivai Cooperativi Rauscedo.

 Il 68° Congresso nazionale di Assoenologi si svolge con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali della Repubblica Italiana. Sponsor ufficiali le seguenti aziende leader di macchine, prodotti e accessori per la viticoltura e l’enologia: Amorim Cork Italia, Bayer Cropscience, Colombin & Figlio, Enartis, Enò, Enoplastic, Fabbrica Botti Gamba, Gai Macchine Imbottigliatrici, L’Enotecnica, Mas Pack Packaging, Nomarcorc, Pall Italia, Robino & Galandrino, Vason Group, Vetri Speciali, Vivai Cooperativi Rauscedo.

 +info: www.assoenologi.it

 

 

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