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La birra è, insieme al pane e al vino, uno dei primi alimenti elaborati dall’uomo. La prima descrizione documentata di una ricetta per produrre birra risale al 4.000 a.C.: furono i Sumeri a cimentarsi per primi nell’arte di produrre una bevanda alcolica assimilabile alla birra.

 

 

Dalla Mesopotamia la produzione si estese in Egitto, per poi attraversare il Mediterraneo e arrivare nella Grecia antica. Nella penisola italica è conosciuta già dagli Etruschi, dopodiché entra nella Roma antica dove si diffonde soprattutto negli ambienti più popolari. Dunque la birra è storicamente una bevanda tanto mediterranea quanto “nordica”. Anche se, per ragioni climatiche (le basse temperature ambientali sono più adatte alle esigenze del lievito di birra), si delinea una progressiva specializzazione fra il Sud (vino) e il Nord Europa (birra).

La birra ha seguito l’espansione della civiltà in ogni angolo del mondo, ma nel tempo la tecnica produttiva è rimasta sostanzialmente invariata. Con un’eccezione introdotta nel 1842 da Josef Groll che, nella cittadina boema di Pils, sperimentò con successo il metodo della bassa fermentazione. Nasceva la birra chiara, dal colore brillante e limpido, profumata di frutta e luppolo, dal gusto leggero e amarognolo: detta “pilsner”, è oggi, insieme alla “lager”, sinonimo di birra chiara in tutto il mondo. Nel 1883, infine, Emil Hansen isolò nei laboratori danesi della Carlsberg il ceppo di lieviti tipico della bassa fermentazione, il Saccharomyces carlsbergensis (detto anche uvarum). La via alla moderna produzione della birra era definitivamente aperta.

L’Italia vanta una tradizione birraria millenaria anche se, fino all’era moderna, si è prodotta poca birra per pochi estimatori. A partire dalla prima metà dell’Ottocento prende piede una vasta e strutturata industria della birra, basata sulla nuova tecnologia di produzione di birre chiare a bassa fermentazione che, necessitando di basse temperature, localizza le prime fabbriche in zone montane dove era più facile reperire ghiaccio. Le prime fabbriche nascono per iniziativa di imprenditori d’Oltralpe (Wührer nel 1829 a Brescia, Zimmermann nel 1837 ad Aosta, Metzger nel 1848 a Torino, Dreher nel 1865 a Trieste con l’installazione del primo compressore per la creazione del freddo ideato da von Linde, Von Wunster nel 1879 a Seriate-Bergamo, Paszkowski nel 1903 a Firenze, ecc.), cui si affiancano da subito commercianti italiani, per lo più di ghiaccio, che vedono nella birra il naturale completamento della propria attività. Nascono così alcune importanti realtà: nel 1846 la Peroni, fondata a Vigevano da Francesco Peroni (ma presto trapiantata a Roma dove, nel 1905, nasce la “Società Ghiaccio e Birra Peroni”); lo stesso anno la Menabrea, a Biella; nel 1857 la Forst, a Lagundo (Bolzano); nel 1859 la “Fabbrica di Birra e Ghiaccio Moretti”, a Udine; nel 1877 la Poretti, a Valganna (Varese); la Itala  Pilsen nel 1890 a Padova; la Birra Pedavena nel 1897 a Pedavena (Belluno). Alla fine del secolo erano attive ben 150 birrerie ed ha avuto inizio uno sviluppo che è arrivato fino ad oggi.

 

 

Negli ultimi decenni la crescita del mercato italiano ha attirato l’interesse dei grandi gruppi birrari mondiali (Heineken, Asahi, Anheuser-Busch InBev, Carlsberg), favorendo l’ingresso di capitale straniero, con acquisizioni che hanno riguardato la maggioranza o consistenti pacchetti azionari di diversi marchi. Investimenti che
hanno contribuito all’ulteriore sviluppo e razionalizzazione degli asset produttivi, assicurando continuità alla storia di marchi prestigiosi e migliorando fortemente la produttività.

Accanto ai grandi produttori si è sempre più affermata, negli ultimi anni, la realtà delle birrerie artigianali, che si distinguono per la rielaborazione ”all’italiana” di alcuni stili birrari bevuti nel mondo da secoli e per la creazione di nuove varietà grazie alla sapiente fantasia dei nostri imprenditori e alla grande varietà di materie prime offerta dai nostri territori.

UN PRODOTTO NATURALE CON POCHI SEMPLICI INGREDIENTI

Quello delle birre è un universo smisurato ma composto da una struttura molto semplice, fatta di quattro elementi naturali: acqua, orzo, lievito e luppolo.

Acqua. La sua presenza nella birra finita oscilla fra il 90 e il 93%. Dev’essere pura, di sorgente, con adeguato e specifico contenuto di sostanze minerali. Le birre più famose del mondo devono la propria originalità e rinomanza alla speciale natura delle acque con cui vengono preparate.

Cereali. Sono l’elemento base per la produzione della birra. Il più utilizzato è l’orzo, graminacea originaria dell’Asia occidentale, anche se non l’unico (vengono impiegati pure frumento, riso, segale e granturco). Da esso si ricava il malto d’orzo, sostanza base ottenuta dalla germinazione e tostatura di questo cereale.

Lievito. Sono microscopici funghi unicellulari, ricchi di vitamine ed enzimi, che trasformano gli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Appartengono a due specie principali: Saccharomyces carlsbergensis o uvarum, usato per birre a bassa fermentazione, e Saccharomyces cerevisiae, per quelle ad alta fermentazione.

Luppolo. È una grande pianta rampicante, i cui fiori femminili contengono la luppolina, sostanza aromatica e resinosa che conferisce alla birra il caratteristico gusto amaro. I componenti più importanti del luppolo sono i tannini, gli oli e gli acidi amari, ottimi antisettici e conservanti.

Modalità di produzione. Esistono due grandi tipologie di birra: le birre ad alta fermentazione e quelle a bassa fermentazione. Questi due processi, e quindi il tipo di birra ottenuta, sono determinati dalle caratteristiche del lievito impiegato, che agisce a diverse temperature. L’alta fermentazione è sviluppata dal ceppo fungino Saccharomyces cerevisiae, che svolge il proprio ruolo fra i 16 e i 23° C. Durante il processo di fermentazione, questi lieviti salgono in superficie, trasformando lo zucchero in alcol e producendo anidride carbonica. L’alta fermentazione è il metodo più antico e dà origine a birre corpose, dal gusto intenso e aromatico, tipicamente inglesi, raggruppate fra le Ale. La bassa fermentazione è sviluppata dal ceppo fungino Saccharomyces carlsbergensis (o uvarum), che si attiva fra 5 e 8° C. I lieviti lavorano in recipienti chiusi (lager) depositandosi sul fondo, in modo che l’anidride carbonica rimanga nella birra. Questo metodo, diffusosi con lo sviluppo del controllo delle temperature, permette di produrre birre dal gusto leggero e fragrante.

 

 

UN PIACEVOLE COMPLEMENTO DI UN’ALIMENTAZIONE SANA E GUSTOSA

La birra va considerata a tutti gli effetti una bevandaalimento. Contiene infatti numerose sostanze che rivestono un ruolo importante per l’organismo e la rendono un utile complemento di un’alimentazione sana ed equilibrata: acqua, sali minerali, vitamine, aminoacidi, maltodestrine, enzimi, antiossidanti, fibre. A ciò si aggiunge il ridotto contenuto alcolico e l’abitudine mediterranea a berla con moderazione e a pasto. Secondo una vasta pubblicistica scientifica internazionale, un consumo moderato di birra può avere effetti benefici sulla salute ed esercitare un ruolo interessante e positivo in varie patologie: dalle malattie cardiocircolatorie all’insorgenza di alcuni tumori, dalla fragilità ossea alla sindrome metabolica.

Leggera e con poche calorie. Un bicchiere di birra chiara (la più bevuta al mondo e in Italia) conta 68 calorie, quasi come un succo d’arancia (66), meno di quelle di un calice di vino rosso (94) e di un soft drink (129). Dunque, accompagnata a uno stile di consumo (e di vita) equilibrato, la birra non fa ingrassare.

Dal ridotto contenuto di alcol. Con il suo oltre 90% di acqua la birra è, nelle versioni di gran lunga più diffuse, la bevanda alcolica fermentata con il minor quantitativo di alcol. Ciò la rende adatta anche a pranzi di lavoro, pasti leggeri, spuntini veloci, come un panino con l’insalata. E – contrariamente a quanto molti continuano a credere – la birra non gonfia neppure. Ciò che infatti gonfia è l’anidride carbonica che, nella birra versata correttamente, rimane imprigionata nella schiuma.

Gustosa e versatile. La birra ha un gusto intrigante e rinfrescante, fatto dal corpo di lieve impronta, dall’inconfondibile gusto amaricante, dalle sensazioni gustative e tattili delicate e universali. Nelle sue quasi infinite varianti può essere abbinata con qualsiasi piatto, o meglio ingrediente di cui questo è composto, compresi alcuni per i quali l’accoppiamento con le altre bevande alcoliche risulta problematico: dalle pietanze cucinate in frittura al carciofo, al cioccolato.

UN SOLO NOME PER UN MONDO DI BIRRE

La legislazione italiana (Legge 1354/1962) suddivide le birre in 5 categorie, corrispondenti al cosiddetto “grado saccarometrico” o “grado di fabbricazione”, che indica la quantità di zucchero (“estratto”) disciolto in 100 grammi di mosto prima della sua fermentazione.

Grado saccarometrico e titolo alcolometrico volumico sono strettamente collegati: moltiplicando il grado di fabbricazione per circa 0,4, si ottiene il grado alcolico approssimativo della birra.

 

Assobirra-2016

Di seguito, una breve illustrazione delle birre più diffuse e apprezzate dal consumatore italiano.

Abbazia. Sono così chiamate perché nate nelle abbazie del luogo con le quali, in alcuni casi, mantengono ancora relazioni. Le birre d’Abbazia sono diverse – anche di molto – nella varietà di gamma olfattiva e gustativa. In genere sono corpose e di forte contenuto alcolico. Il loro colore varia dall’oro carico all’ambrato fino al bruno scuro.

Ale. In genere quando di parla di Ale si intende la birra inglese tout court, e in effetti le Ale sono prodotte soprattutto in Gran Bretagna, pur avendo preso piede anche in Paesi come Belgio e Stati Uniti. Ricavate da malto d’orzo con lieviti ad alta fermentazione che garantiscono un corpo pieno e fruttato, di moderato contenuto alcolico, da bere in genere a temperatura di cantina, le Ale si distinguono in numerose tipologie, fra cui: Mild Ale, Bitter Ale, Belgian Ale, India Pale Ale, American Pale Ale, Porter, Stout, Barley Wine, ecc.

Analcolica. Fra le birre a bassa fermentazione merita una menzione la birra analcolica, pensata per coloro che non vogliono (o non possono) consumare alcol e con caratteristiche di aroma e gusto equiparabili a quelle di una normale Lager o Pils. Superata la gradazione di 1,2% vol., e fino al limite di 3,5% vol., la birra analcolica diventa “light”, dai profumi e sapori molto lievi.

Blanche. A produrre per primi la bière Blanche furono, nel Quattrocento, i monaci del Brabante che impiegarono orzo, frumento e avena e inoltre, trovandosi a stretto contatto con i commercianti olandesi, ingredienti esotici provenienti dal Nuovo Mondo, fra cui il profumato coriandolo e la buccia d’arancia seccata. Oggi la Blanche è fatta in parti uguali di orzo maltato e frumento non maltato, cui si può aggiungere una percentuale variabile di avena, che la rende morbida e quasi vellutata al palato. Moderatamente alcolica, è ricca di suggestioni olfattive (fruttata, floreale e speziata) e gustative (asprigna con toni agrumati e speziati).

Bock. La Bock è una birra a bassa fermentazione, chiara e forte, che si ritrova nell’area germanico-alpina. Originaria di Einbeck, cittadina tedesca vicino Hannover, e poi affermatasi in Baviera, è gradevole all’olfatto, caratterizzata da netti sentori mielati di malto e da un floreale fresco, ricco e vellutato al palato, con corpo strutturato e persistente. Le Bock hanno un grado alcolico di 6,5% vol., colore chiaro, gusto di malto ben presente, amaricante del luppolo attenuato.

Lager. È una birra a bassa fermentazione, divenuta – vista l’odierna diffusione – sinonimo di birra tout court. Il suo nome deriva dal termine tedesco “Lager” (“deposito”, “cantina”), che indica il luogo, a bassa temperatura, in cui questa birra veniva prodotta e conservata. La Lager europea è una birra chiara, fresca, di media alcolicità, delicata negli aromi e nel gusto, dal colore oro pallido. Fuori dall’Europa sono state progressivamente ridotte le note di malto e di luppolo: in tutto il continente americano la Lager è considerata un soft drink.

Pils. Nota anche come “pilsener” o “pilsner”, prende il nome dalla città boema di Plzen (Pilsen in tedesco) dove vide la luce ad opera del già citato Groll. Il mastro birraio bavarese sfruttò le peculiarità di un’acqua povera di minerali e la finezza aromatica del luppolo coltivato nella vicina Žatec per creare una birra dorata, a bassa fermentazione, che è la capostipite di oltre il 90% della birra oggi prodotta nel mondo. La Pils si caratterizza per l’aroma floreale, il gusto dal finale secco e pulito e la schiuma abbondante. Si suddivide in varie tipologie, fra cui le Pils boeme, dal bel colore dorato, caratterizzate da morbide note di malto e da un amaro ben presente, e le Pils tedesche, più “pulite”, secche e dal forte aroma di luppolo, alle quali si avvicinano tutte o quasi le Pils prodotte negli altri Paesi europei.

Weizen. Popolarissima in Baviera, la Weizen è una birra fresca e dissetante, a base di malti d’orzo e di frumento (in tedesco “Weizen”). Quest’ultimo, che per legge non è inferiore al 50%, le conferisce il tipico gusto acidulo, mentre l’amaro, data la scarsa presenza di luppolo, è impercettibile. Le Weizenbier sono dette anche “Weissbier” (“birre bianche”) per l’aspetto torbido e quasi lattiginoso, causato dai lieviti che rimangono in sospensione e conferiscono il caratteristico aroma fruttato di banana matura e speziato di chiodo di garofano, ancorché ne esistano anche versioni meno diffuse scure.

LE 7 “REGOLE D’ORO” DEL SERVIZIO

Schiuma: alta due dita e ben compatta. Per gustare al meglio una birra ci vuole la schiuma, alta due dita e ben compatta. La schiuma, che accarezza le labbra ad ogni sorso, è il filtro naturale della birra, attraverso cui vengono esaltati gli aromi del luppolo e del malto. Il gusto della schiuma, più amaro di quello della birra stessa, esalta il caratteristico sapore della bevanda amplificandone la piacevolezza. La schiuma, infine, protegge la birra dall’ossidazione mantenendone integri aromi e fragranze e rendendola più buona e più digeribile.

Spillatura: due fasi (e vari metodi). Il termine “spillatura” indica il servizio della birra in bicchiere, tanto alla spina quanto dalla bottiglia. La birra va spillata rispettando due velocità: prima lentamente, tenendo il bicchiere leggermente inclinato fino a riempirlo per tre quarti; poi, dopo averlo raddrizzato, più velocemente, in modo da far sviluppare la giusta quantità di schiuma.

Bicchiere: ci vuole quello giusto. Ogni stile di birra ha il bicchiere più appropriato – rigorosamente di vetro – che permette di evidenziarne il gusto e l’aroma aiutando, anche, la formazione della giusta schiuma. Qualche esempio: per le birre ad alto contenuto alcolico come le Belgian Ale o le birre d’Abbazia, occorre un bicchiere a calice; le Ale e le birre anglosassoni ottengono il meglio dalla classica pinta (contenente 0,568 litri raso bordo); le Blanche, e in genere le birre speziate di stile belga, vengono servite in bicchieri ampi.

Vetro: sempre pulito e possibilmente bagnato. Il vetro del bicchiere dev’essere ben pulito ma senza tracce
di detergente e brillantante che impediscono la corretta formazione della schiuma. Prima dell’uso è consigliabile bagnarlo con acqua fredda, per eliminare eventuale polvere e avvicinare la temperatura del vetro a quella della birra. Un’avvertenza: non confondere la schiuma con le bollicine. Per la birra, a differenza dello champagne, la presenza di persistenti bollicine indica solo l’eccessivo contenuto di anidride carbonica.

Temperatura: in genere bassa, ma mai ghiacciata. Ogni stile ha la corretta temperatura di servizio. Su questo tema vige una regola generale: più una birra è corposa e alcolica, più aumenta la temperatura alla quale va bevuta. In genere sull’etichetta si consiglia la migliore temperatura di servizio.
La giovinezza, per un sapore pieno. La birra va consumata “giovane”. Come tutti i prodotti “vivi”, più fresca è, più mantiene integri profumi e gusto. Per assaporarla al meglio affidatevi alle indicazioni riportate in etichetta. Fanno eccezione alla regola pochissime birre, dette appunto “da invecchiamento”, in genere ad alta fermentazione, di elevata alcolicità e con robusta luppolatura.

Conservazione: in luogo fresco e al riparo dalla luce. La birra risente degli sbalzi di temperatura e degli effetti negativi della luce e dell’ossigeno. Il luogo migliore di conservazione è perciò un posto fresco e al tempo stesso asciutto (per ridurre il rischio di ossidazione), nel quale le bottiglie siano tenute al riparo dalla luce e in posizione verticale.

 

Per maggiori informazioni: Annual Report Assobirra 2017

 

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