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Un nome nuovo che si sta facendo notare sempre di più nel panorama del beverage Driss El Faria, grazie a una vision innovativa e una vasta esperienza nel settore. Un imprenditore di successo che ha saputo imporsi negli ultimi anni, una carriera che spazia dalla creazione di prodotti esclusivi alla gestione di brand internazionali. Driss El Faria con la sua società 25H Holding ha portato un approccio dinamico nel mondo delle bevande, sfidando le convenzioni e creando nuove categorie di prodotto, con un forte focus sul marketing e sul brand building. Un lavoro basato su solide competenze, che ha ispirato tanti giovani imprenditori, aiutandoli a trovare la forza di intraprendere nuove sfide, rendendolo un punto di riferimento nel settore del beverage nonostante la sua giovane età. Abbiamo intervistato in esclusiva per Beverfood.com Driss El Faria senza filtri, raccontando la sua storia partendo dagli inizi.

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Raccontaci bene la tua storia, da dove vogliamo partire?

Ho 32 anni, sono nato e cresciuto a Vigevano, sin da ragazzo ho organizzato eventi nei locali per finanziarmi gli studi, conseguendo prima la laurea in Economia all’Università di Pavia e poi un master alla Bocconi, perché venivo da una famiglia umile di origini marocchine e non potevo permettermi di fare stage o altre esperienze.

Tu vieni dal mondo della notte, come sei passato al beverage?

Ho sempre bazzicato nel mondo delle pr e nell’organizzazione di eventi per pagarmi gli studi. Chi lavora nel mondo della notte secondo me ha una marcia in più se riesce ad unire altre competenze più legate al business. Nel 2016 ho rilevato una discoteca molto in voga in zona Pavia insieme ad altri soci, due anni dopo ho venduto le mie quote, mettendo da parte un piccolo gruzzoletto che mi ha permesso di entrare nel mondo degli affari delle bevande. Ho iniziato ad interessarmi al mondo della vendita all’ingrosso di alcolici, ma ho subito capito che non mi sarebbe interessato diventare un piccolo distributore come tanti. Ho quindi deciso di creare i miei prodotti, iniziando con la distribuzione di un brand e costruendo da zero una nuova categoria di prodotto, cosa che non era affatto facile.

Quando hai deciso di importare Aviva Wines in Italia?

Aviva Wines è stato il mio primo prodotto su cui ho lavorato, lo dico sempre, non mi ha mai rappresentato dal punto di vista della qualità in sé del prodotto, ma quello che mi interessava era creare una nuova categoria merceologica che all’epoca non c’era ancora in Italia, bevanda colorata al gusto vino. Ho voluto lanciare una sfida a me stesso e creare una nuova identità nel mondo del vino e delle bevande alcoliche, con un focus sul marketing e sul brand building. Non avevo dipendenti e ho fatto tutto da solo. Ho imparato moltissimo, soprattutto in termini di dinamiche commerciali, ho sviluppato Proonty, un software che mi ha permesso di automatizzare i processi operativi di rendicontazione e fatturazione, Aviva è stato un successo, in due anni abbiamo fatturato circa 4,5 milioni di euro, siamo stati per molti mesi bestseller in Amazon.

Parlando di birra, la case history Bombeer e le birre della squadre di serie A?

Bombeer è stato un progetto molto importante che mi ha permesso di farmi conoscere al grande pubblico, grazie al fatto di avere un ariete del calibro di Bobo Vieri in squadra insieme a un altro socio, Fabrizio Vallongo che conoscevo sin da ragazzo. Quando ho ceduto le mie quote della società nel 2022, pensavo che ci fosse ancora margine nel settore, così ho lanciato le football beer delle squadre di calcio, stringendo accordi commerciali con Juventus, Milan e Napoli.

Poi è arrivato Mood Wines, che ha spopolato nei locali?

Nel 2021 ho lanciato Mood Wines, il primo caso di Prosecco Luminoso al mondo. Sulla scia delle bottiglie importanti di Champagne che si stappano in discoteca, mi sono chiesto perché non si può rendere accessibile questo momento di convivialità anche a dei ragazzi giovani che hanno meno possibilità ma la stessa voglia di divertirsi? E’ stato un progetto che ha ottenuto ottimi risultati con il brand Mood Wines, da cui sono uscito nel 2023 per concentrarmi su altre sfide.

Parlando di super alcolici, raccontaci il lancio di Au Vodka nel nostro paese?

Sono riuscito a ottenere l’esclusiva per Au Vodka, il brand di vodka più venduto nel Regno Unito, che stava cercando una distribuzione che fosse diversa da quella tradizionale, un canale a mio avviso non sempre efficace se si vuole davvero spaccare il mercato. Io faccio un altro tipo di lavoro, la mia capacità vera è nel brand building e nella creazione di reti per spingere il prodotto nei punti vendita. Oggi con Au Vodka siamo tra i leader del segmento Vodka e in certi casi anche più riconosciuti di tanti marchi iconici di proprietà delle multinazionali, grazie a una rete di promoter che promuovono il nostro prodotto nei locali, senza altri stratagemmi o scorciatoie.

Con Tequiero Tequila insieme a Gué Pequeno, siete uno dei primi casi di Celebrity brand nel mondo dei distillati in Europa?

Tequiero Tequila è un brand di proprietà che mi ha impegnato molto, perché vi assicuro che non è per nulla facile curare tutte le fasi della produzione in Messico. Dalla coltivazione dell’Agave Blu a Los altos sull’altipiano di Jalisco, alla distillazione in una realtà artigianale. C’è poi tutto il lavoro di posizionamento del prodotto con una strategia di brand building che si sta rivelando vincente grazie a un frontman come Cosimo Fini, in arte Guè Pequeno, in un settore come quello dei celebrity brand che ha moltissime potenzialità inesplorate rispetto agli Usa. Abbiamo sdoganato il modo di bere Tequila grazie alla lattina Premix, con tre ingredienti principali Pompelmo Soda, Lime e Sale, basta versare metà del contenuto e 50ml di Tequiero Tequila Reposado per un cocktail Paloma con semplicità e comodità, affidandoci all’esperienza di Compagnia dei Caraibi per la distribuzione.

Tanti progetti di successo, ma qual è il vero segreto di Driss El Faria?

Lavoro duro prima di tutto, il mio modello è tutto esternalizzato, mi concentro sulla distribuzione e sul marketing, senza budget stellari. Sono riuscito a costruire una solida rete partendo da zero, ho sfruttato tutte le conoscenze fatte in questi anni e tanti giovani hanno trovato il coraggio di intraprendere la mia stessa strada. Ho sempre creduto nella forza dell’innovazione e nella capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato, contribuendo con intuizioni preziose all’evoluzione delle dinamiche commerciali nel settore.

La tua analisi sul mercato del beverage attuale tra calo dei consumi e dazi?

Concentriamoci sul mercato italiano, che secondo me soffre non tanto perché ci sia una crisi dei consumi, ma perché i marchi multinazionali che hanno in mano le carte, non sempre riescono a capire dove sta andando il gioco. Negli ultimi anni molte multinazionali del beverage stanno facendo fatica a innovarsi, cercando solo di portare a casa subito risultati nel breve termine senza concentrarsi sul vero lavoro sul campo. Credo che la vera sfida oggi sia l’innovazione nel prodotto e la capacità di costruire relazioni genuine e durature con il proprio target di riferimento.

Come ti vedi nel futuro tra qualche anno?

Mi sento uno spirito innovatore, ho ancora tante idee e c’è molto da fare nel comparto del beverage. C’è un bisogno di ringiovanire l’approccio commerciale e rispondere alle esigenze di un pubblico, in particolare dei giovani, che non sono intercettate. Il mio obiettivo è quello di creare un impatto duraturo, concentrandomi su ciò che è davvero importante, con credibilità e autenticità. Non credo nel modello tradizionale delle sponsorizzazioni che non funzionano alla lunga. In futuro mi piacerebbe mettere al servizio di qualche big player la mia esperienza con una strategia vincente, sempre più in connessione diretta con i consumatori.

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