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Una moda al tramonto. Il vino novello continua a perdere fascino e fan. Ma meno ammiratori significa meno vendite e quindi meno bottiglie. E infatti quest’anno la produzione nazionale cala del 20 per cento rispetto al 2010, anche se la qualità continua a crescere. A partire dal 6 novembre, faranno il proprio ingresso sul mercato un po’ meno di 5 milioni di bottiglie, ben poca cosa rispetto al picco storico di 18 milioni raggiunto nel 2002. Ma si tratta di un calo che non avrà effetti sul “pianeta vino” e sui vitivinicoltori, visti i bassi volumi di questo prodotto, che incide con lo 0,2 per cento sulla produzione enologica nazionale. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, alla vigilia dell’apertura della stagione del “novello”.


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Due sono i motivi alla base di questo crollo: la tendenza generalmente a ribasso dei consumi di vino nel Belpaese, che coinvolge anche il “novello”, e un crollo di “appeal” che ormai è sempre più evidente. Mentre le nostre bottiglie fanno il pieno all’estero -spiega la Cia- da anni i consumi interni calano costantemente, passando dai 55 litri pro-capite nel 1995 ai 43 litri a persona nel 2010. Una flessione di ben 12 litri in quindici anni, che diventa ancora più eclatante se si paragona agli anni Settanta, quando si bevevano poco meno di 120 litri a testa in un anno. In pratica, dai 2 bicchieri al giorno del 1970 si passa a solo mezzo bicchiere oggi.Partito come fenomeno di nicchia, il vino novello ha conquistato i palati dei consumatori italiani negli anni Novanta, quando insieme alle castagne è diventato il simbolo dell’autunno. Ma si è trattato di un trend passeggero. Oggi il vino “giovane” -sostiene la Cia- ha perso il suo fascino perché non rispecchia più i gusti dei consumatori, maggiormente orientati verso rossi corposi e più alcolici. Il novello, invece, mutuato dalla Francia all’indomani dello scandalo del vino al metanolo, fu lanciato sul mercato per allargare i consumi anche tra i giovani, con la proposta di una bevanda a bassa gradazione che potesse conquistare gli “under 30”. Una strategia di mercato che ha funzionato molto bene per tutti gli anni Novanta, ma ora il suo successo si sta lentamente esaurendo. Ed è per questo che le circa 300 aziende del Paese che producono “novello” spesso preferiscono limitare la quantità di uve destinate a questa produzione, per concentrarsi piuttosto su altre varietà di vino più richieste. Anche perché, nonostante il calo produttivo, il prezzo a bottiglia resta fermo a una media di 5 euro fino a un massimo di 10 euro. Per un giro d’affari che dovrebbe aggirarsi quest’anno intorno ai 25 milioni di euro. Una cifra irrisoria se confrontata al fatturato complessivo del vino “made in Italy”, che nel 2010 ha superato i 13 miliardi di euro.Ottenuto da macerazione carbonica indotta in ambiente chiuso che consente di assaggiarlo già a novembre, il novello nazionale presenta un’offerta varietale molto ricca rispetto al “cugino” francese, limitato esclusivamente a un vitigno e a un territorio circoscritto: la regione di Beaujolais. Nel Belpaese, invece, coinvolge territori molto differenti, anche se il 60 per cento delle bottiglie “made in Italy” proviene dal Nord Italia, e di queste il 12 per cento è diretto all’estero (soprattutto in Germania e Giappone).Le difficoltà per queste bottiglie si sono manifestate a partire dal 2006, quando la produzione è scesa a 15,5 milioni di bottiglie. Una tendenza proseguita negli anni successivi, fino al calo drastico dell’anno scorso, quando il segno negativo è stato consistente e ha sfiorato il meno 30 per cento. Anche quest’anno, dunque, c’è meno produzione, ma sicuramente resta la qualità per un segmento della vitivinicoltura che -seppur limitato- vanta più di 30 etichette protette da marchio Doc o Igt.

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