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Una azione congiunta per salvaguardare il Made in Italy agroalimentare dalle condotte fraudolente di paesi terzi che imitando i nostri prodotti a Denominazione di Origine o Indicazione Geografica Protetta, cercano di farsi spazio sul mercato sfruttando la notorietà dell’originale. Questo l’obiettivo che le parti interessate – Ministero, Associazioni e Consorzi di tutela – si sono poste e hanno scelto di discutere insieme a Roma, in occasione del convegno “La tutela delle denominazioni DOP e IGP a livello nazionale e internazionale: il caso del “balsamico” a confronto con altre denominazioni” tenutosi presso il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.


Un incontro fortemente voluto dai Consorzi per la Tutela dell’ Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e di Reggio Emilia e il Consorzio Aceto Balsamico di Modena ad un anno dal riconoscimento dell’IGP per l’Aceto Balsamico di Modena per fare il punto della situazione e riunire gli attori intorno a un tavolo per studiare una strategia condivisa di difesa del marchio, come testimonia il Presidente Cesare Mazzetti: “Per noi, essere il prodotto simbolo dell’Italian Food all’estero (75% della produzione esportata) significa anche esporsi maggiormente alle imitazioni, come confermano i dati che ci piazzano nelle prime posizioni tra i prodotti più “taroccati”, insieme al Parmigiano Reggiano, al Pecorino Romano e al Grana Padano. Per questo riteniamo fondamentale sviluppare una concreta attività di tutela sia per la nostra che per le altre denominazioni”.
Una panoramica a tutto tondo  che quantifica, con un’analisi attenta sotto il profilo economico, politico e giuridico, l’enorme giro d’affari che si sta venendo a creare intorno all’agropirateria. Il lato economico della pirateria alimentare presenta numeri da capogiro, come ha illustrato e spiegato nel suo intervento Denis Pantini, responsabile dell’area ricerche su agricoltura e industria alimentare di Nomisma. “Le DOP e IGP italiane rappresentano ben il 23% di tutte le denominazioni e indicazioni geografiche dell’Unione Europea e danno lavoro a oltre 80.000 imprese, che insieme producono un valore di 5,4 miliardi di euro, di cui 1,4 miliardi realizzato con le esportazioni. Proprio le esportazioni sono la croce e delizia del Made in Italy alimentare. Se dall’anno 2000 il valore delle esportazioni di DOP e IGP è infatti letteralmente raddoppiato, passando da 704 milioni di euro ai 1.390 del 2008 e, parallelamente è cresciuto anche il numero delle DOP e IGP, passando dai 108 del 2000 ai 175 del 2008 ai 206 del 2010, in maniera esponenziale e preoccupante è cresciuto anche il fenomeno della contraffazione: +950% il numero dei casi di contraffazione e +608% i prodotti sequestrati. Queste cifre, a causa della difficoltà di quantificare gli illeciti, sono pero’ insufficienti a rendere il quadro effettivo delle situazione, che è certamente molto peggiore ”.

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Sulle iniziative che il Ministero ha intrapreso e ha intenzione di continuare a perseguire in direzione di una politica “protezionistica” delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche, è intervenuto Riccardo Deserti, della Direzione Generale Qualità e Tutela del consumatore del Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. “Il Mipaaf, per la sua parte, ha tra le priorità assolute di azione quella di sostenere la più completa tutela dei prodotti da ogni tipo di contraffazione o imitazione, che continua a diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo e in maniera preoccupante, soprattutto su quei mercati dove i guadagni per i produttori sarebbero maggiori. La discrasia tra il nostro incessante lavoro e il perdurare dell’attività imitativa da parte di altri paesi, si giustifica con il fatto che la tutela dei prodotti da contraffazioni e imitazioni è attualmente limitata solo all’interno dei confini dell’Unione Europea. Al di fuori di tali confini, purtroppo, i prodotti agroalimentari italiani non godono di alcuna forma di protezione. Il Ministero si oppone e si opporrà sempre a tutto quello che può generare confusione nel consumatore e ci opporremo con altrettanta forza alla registrazione da parte di terzi di un marchio che evochi una nostra identità geografica specifica. Anche nel caso dell’aceto balsamico, Deserti ha affermato che verrà seguita la linea generale di ‘tolleranza zero’ che viene adottata per le altre grandi denominazioni: in particolare nei confronti dei produttori italiani, e di eventuali contraffattori europei, verranno perseguiti quei comportamenti che utilizzeranno la parola ‘balsamico’ per prodotti che non siano i tre aceti registrati come IGP e DOP.
Tesi rafforzata dalle parole del giurista Fausto Capelli, docente di Diritto Comunitario presso il Collegio Europeo dell’Università di Parma. “Mentre in sede comunitaria si stava negoziando il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta per l’Aceto Balsamico di Modena, il governo greco ha avviato una procedura che – senza l’opposizione del Governo Italiano e della Commissione Europea, finirebbe per vanificare tutti i vantaggi che i produttori italiani avrebbero diritto di ottenere con la registrazione dell’IGP e si andrebbe incontro, per la prima volta, a un caso di “italian sounding” regolamentato da un atto normativo nazionale autorizzato dall’Unione Europea. La Direttiva 98/34 CE di per sé, tenta però di escludere l’applicazione delle norme comunitarie in materia di libera circolazione delle merci al settore delle DOP e delle IGP ed evitare lo svilimento ad opera di un qualsiasi stato membro di una DOP o IGP di un dato paese. La complessità della questione “aceto balsamico” è data dal fatto che vi è un interesse da parte dei Paesi europei all’’utilizzo dei termini presi singolarmente, o, meglio all’accostamento dei due termini “aceto” e “balsamico”.Ma un apposito considerando, inserito nel testo del Regolamento IGP dell’Aceto Balsamico di Modena, sostiene che ciò possa essere fatto solo quando non costituisce una evocazione o una imitazione, generando quindi confusione nel consumatore: in pratica, quando non si riferisce a prodotti che abbiano aspetto e funzioni simili a quelle dei tre aceti balsamici DOP e IGP.  L’utilizzo congiunto di due termini, “aceto” e “balsamico” rientra tra le cosiddette denominazioni composte, la cui validità può essere valutata soltanto a discrezione di giudici nazionali. In favore delle tesi italiane, sta il fatto che mai, prima della richiesta di registrazione delle DOP e IGP per l’aceto balsamico, vi era una produzione di aceti con tale nome nei Paesi al di fuori dal’Italia.

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Una lotta analoga, per il riconoscimento del diritto a sfruttare in via esclusiva la Denominazione e quindi a vietare qualsiasi riproduzione anche parziale del nome ed evitare l’Italian Sounding, è stata combattuta dal Parmigiano Reggiano, che di recente ha visto concludersi con successo il ricorso presentato alla Corte di Giustizia Europea contro la Germania. “In seguito all’uso illegittimo di una società tedesca del nome Parmesan, chiaramente evocativo del formaggio italiano Parmigiano Reggiano, abbiamo ricercato a livello comunitario una forma giuridica di tutela. Il cammino è stato lungo e difficile, ma il successo ottenuto continua a rinnovarsi, come nel recentissimo successo ottenuto in Germania nei confronti di un formaggio industriale denominato ‘Parmetta’ – ha spiegato il Presidente del Consorzio di Tutela Parmigiano Reggiano, Leo Bertozzi, intervenuto al convegno per testimoniare la propria esperienza – dimostra come una azione costante e determinata possa permettere di ottenere risultati concreti per tutelare i diritti degli attori della filiera produttiva, dando garanzia ai consumatori sulla vera origine del prodotto ed impedendo ogni sfruttamento della reputazione della Denominazione d’Origine da parte di terzi. In un contesto globalizzato, la protezione della Denominazione d’Origine è l’elemento basilare che permette di operare una competitività su basi eque. E ciò non può prescindere da uno specifico quadro normativo che garantisca una protezione leale in ogni ambito territoriale”.

+INFO: Ufficio Stampa Marte Comunicazione Tel. 335 6130800 Email:  –

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