Il dazio del 15% sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti, in vigore dal 1° agosto, sta generando forte preoccupazione nel mondo del vino, degli spirits e degli aceti italiani. Le principali associazioni di settore – Federvini e Unione Italiana Vini (UIV) – lanciano un appello congiunto alle istituzioni italiane ed europee per tutelare un comparto strategico per l’economia nazionale.
Federvini: “Serve una soluzione prima dell’1 agosto”
“Un dazio al 15% rappresenta una soglia preoccupante per tutto il comparto” – afferma Giacomo Ponti, presidente di Federvini – “L’obiettivo condiviso resta una percentuale più sostenibile per le nostre imprese, pur sapendo che l’optimum sarebbe dazio zero. La speranza è che ci sia ancora margine per proseguire nel dialogo con un partner fondamentale come gli Stati Uniti.”

Federvini auspica una visione strategica e un confronto tecnico, per definire misure stabili e trasparenti a tutela dell’intero sistema:
“Serve una lettura equilibrata che eviti generalizzazioni potenzialmente dannose. E bisogna chiarire se il 15% sarà un’aliquota unica o se si aggiungerà a dazi preesistenti, perché in quel caso il colpo per le nostre esportazioni sarebbe ancora più duro.”
UIV: “Danni stimati per 317 milioni di euro. Colpite le fasce più popolari”
Ancora più dettagliata e allarmata è la posizione di Unione Italiana Vini. “Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano” – ha dichiarato Lamberto Frescobaldi, presidente di UIV – “Il danno stimato è di circa 317 milioni di euro nei prossimi 12 mesi, che potrebbe salire a 460 milioni in caso di perdurante svalutazione del dollaro. Per i partner commerciali USA si parla di mancati guadagni fino a 1,7 miliardi di dollari.”
Frescobaldi ha sottolineato come l’incontro tra Trump e von der Leyen abbia perlomeno fornito certezze, ma che ora sarà necessario agire:
“Va assorbito il mancato ricavo lungo la filiera per ridurre al minimo il ricarico allo scaffale. Se prima una bottiglia da 5 euro veniva venduta a 11,5 dollari, ora – tra dazio e cambio – rischia di arrivare a 15 dollari. E alla ristorazione potremmo arrivare a 60 dollari al tavolo.”
Castelletti (UIV): “Non ci si può dire soddisfatti”
Anche Paolo Castelletti, segretario generale UIV, lancia l’allarme:
“Un dazio al 15% è inferiore all’ipotesi del 30%, ma resta comunque altissimo rispetto alla quasi totale esenzione precedente. L’Italia rischia di subire un impatto maggiore rispetto a Francia e Spagna, sia per l’esposizione sul mercato USA (24% dell’export totale), sia perché l’80% del nostro vino è in fascia ‘popular’, con prezzo medio di 4,2 euro/litro. Solo il 2% è in fascia superpremium.”

Oltre 360 milioni di bottiglie a rischio
Secondo l’Osservatorio UIV, il dazio colpisce in particolare alcune denominazioni chiave dell’export italiano. Aree enologiche con picchi assoluti per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, quelli piemontesi al 31% così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco.
Complessivamente, si parla di 364 milioni di bottiglie, pari a oltre 1,3 miliardi di euro: il 70% dell’intero export vinicolo italiano verso gli Stati Uniti.
Servono misure urgenti per salvare l’export
Entrambe le associazioni chiedono interventi concreti a governo e UE, per difendere un settore che – grazie al buyer statunitense – ha contribuito in modo determinante alla crescita delle imprese italiane del vino.
“In gioco non c’è solo un segmento industriale – conclude Ponti – ma un modello produttivo fondato su qualità, identità e rapporti internazionali costruiti nel tempo.”
+info:
www.federvini.it
www.unioneitalianavini.it



