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Mentre mi allontano dai vigneti di Teruzzi,  nei pressi della splendida San Gimignano, una frase continua a riecheggiarmi nelle orecchie. A dirmela poco prima era stato Alessio Gragnoli, il Responsabile Attività Produttive della cantina che ad oggi più di tutte rappresenta la Vernaccia in Toscana. Mentre eravamo seduti intorno al tavolo e stava distrattamente facendo girare il vino nel bicchiere, in un gesto che per  le sue mani deve essere naturale quanto per me battere su una tastiera, ha raccontato “L’estate 2017 per noi, come per tutti, è stata terribilmente arida, eci ha fatto perdere moltissime uve. Ma non la Vernaccia. Mentre tutte le altre varietà perivano, lei è rimasta (a parità di terreno e di temperature) imperterrita, tenace e immortale al suo posto. Perché? Perché questa è la sua terra, qui è a casa sua e le sue radici hanno saputo trovare ciò che gli altri non sapevano nemmeno di dover cercare”.

 

La verità è che va di gran moda parlare  di “vitigni autoctoni” , ma è quando ne assaggiamo le reali conseguenze che restiamo senza parole.  Eppure dal  1974, (anno di nascita di Teruzzi) ad oggi, l’impronta della cantina è sempre stata la stessa, ovvero di modernizzare la produzione , cercando le soluzioni più innovative per produrre i migliori vini possibili, senza però tradire mai il proprio territorio e la propria storia. Un testimone che è passato da varie mani, partendo dal uomo che l’ha fondata e che gli dà il nome, vignaiolo per passione ma ingegnere per professione, fino ad essere raccolto oggi dalla famiglia Moretti. 

Nonostante il passare degli anni e delle proprietà i valori fondanti della cantina sono sempre mantenuti vivi: Innovazione, rispetto del territorio e della tradizione vitivinicola toscana. Queste le parole d’ordine sono il filo di continuità che unisce passato, presente e futuro. Il legame con il luogo d’origine è fortissimo ma dinamico, ancorato alla storia tanto quanto proiettato alla sua valorizzazione contemporanea. Un percorso che mira all’esaltazione del patrimonio di nobiltà e carattere di San Gimignano e della sua risorsa più preziosa: la Vernaccia.

La Vernaccia, tra tradizione vinicola e difesa del valore

 

Con 94 coltivati a vigneto di cui 60 dedicati alla vernaccia, Teruzzi è  il maggior produttore del vino di San Gimignano. I confini della denominazione si trovano tutti all’interno del comune, scrigno che custodisce un vigneto sostanzialmente omogeneo caratterizzato da suoli di origine pliocenica, marina, composti da sabbie gialle e argille, eppure capace di trovare nelle sue pieghe differenze e variazioni sul tema che disegnano una mappa complessa. Un caleidoscopio di zone e sottozone, parcelle e vigneti, capaci di imprimere ai vini il loro marchio, anche per via di un’uva, la vernaccia, che “sente” le differenze di suoli come poche. Poi c’è il clima, positivamente influenzato dalla vicinanza del Mar Tirreno, ad appena 60 chilometri di distanza. Nonostante le  condizioni storiche e geografiche siano tutte a favore della cantina, come spesso succede le problematiche sono date dalle regole economiche spesso sfalsate e subite. Le regole del gioco le fa che punta a ribasso, perchè tramite il prezzo riesce a vendere di più sopratutto all’estero, ma per poterselo permettere l’unico modo è abbassare la qualità e quindi il percepito dei clienti di tutta la DOC . Una guerra quotidiana dei prezzi a cui Teruzzi vorrebbe porre rimedio nell’unico modo possibile. Non più nemici ma alleati, i produttori dovrebbero collaborare e creare le condizioni per porsi sul mercato (interno e estero) nel migliore dei modi possibili, senza farsi concorrenza tra loro (facendosela cioè, ma solo sulla qualità, e non su prezzi non sostenibili che finiscono solo per danneggiare la denominazione).

Scienza dal futuro e Arte dal passato in vigna e nel bicchiere

 Negli ultimi 5 anni, da quando l’enologo Caviola, consulente di tre delle realtà di Terra Moretti Vino, insieme all’agronomo Marco Simonit, ha iniziato a collaborare con l’azienda, la viticoltura di TERUZZI ha intrapreso un importante percorso nel rispetto della sostenibilità: niente più concimi di origine chimica a favore della pratica del sovescio; niente più diserbi residuali ma diserbi meccanici sottofila; riduzione del 50% dell’utilizzo di prodotti antiparassitari grazie all’introduzione di induttori di resistenza per la vite. Inoltre gli scarti di lavorazione di vinacce e raspi vengono ridistribuiti nei vigneti, dopo aver subito un processo naturale di compostaggio all’interno dell’azienda.

 

Se nelle tecniche di viticoltura si mira alle tecniche più all’avanguardia, per quanto riguarda la grafica delle etichette l’ispirazione viene dal passato. L’idea che ha guidato il restyling, infatti prende ispirazione dalla magia dei bestiari medievali, opere didattico-morali dell’epoca che raccoglievano brevi descrizioni di animali reali e immaginari. Manoscritti miniati completati dall’aggiunta di decorazioni in oro e argento: capolettera, bordi e figure illustrate. I bestiari medievali avevano lo scopo di descrivere le proprietà di un certo numero di bestie raffigurandole in una insolita interpretazione surreale. Ecco alcuni esempi:

Il cane ammantato (Etichetta vino Terre di Tufi)

A questo vino importante e ben caratterizzato, è associata un’immagine di un insolito cane, tratto da un codice miniato conservato alla British library .

L’unicorno (Etichetta vino Melograni)

Un animale di fantasia, con piedi palmati, di colore blu che indossa un improbabile mantello. L’unicorno è l’animale leggendario per eccellenza, dal corpo di cavallo e con un singolo corno in mezzo alla fronte. È dotato di poteri magici, a volte ha una coda da Leone e degli zoccoli bipartiti. È simbolo di saggezza e purezza, forza e vittoria.

La Bestia Magica (Etichetta vino Sant’Elena)

Per Sant’Elena un animale immaginario, che è la summa magica di altri animali: un becco da uccello, con orecchie di coniglio e coda da scoiattolo.

La sfida di Moretti è lanciata; la Vernaccia non è una scommessa, perchè è un vino con un passato e un futuro, ma sopratutto con radici robuste che sanno attraversare il terreno come il tempo per rifiorire ad ogni nuova stagione.

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