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La scomparsa di Re Giorgio, un gigante che ha rivoluzionato l’ospitalità

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Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e per la realtà”. Questo l’ultimo messaggio che Giorgio Armani ha voluto lasciare tramite i social, prima della sua scomparsa giovedì 4 settembre all’età di 91 anni. Re Giorgio, simbolo indiscusso del made in Italy nel mondo, un gigante che ha trasformato nel corso della sua carriera non solo il mondo della moda, dalle giacche destrutturate all’American Gigolò alla liberazione della donna, rivoluzionando anche il concetto di ospitalità.

Una vision fatta di classe, stile e sobrietà, questi gli ingredienti del successo che hanno consentito di eccellere al “Signor Armani“- come veniva chiamato da collaboratori e dipendenti – anche in altri ambiti, come nel settore della ristorazione e dell’hotellerie. Complessivamente sono 26 nel mondo, ristoranti e caffè griffati Armani, tra un design minimal e la ricerca del gusto in menù essenziali, uno stile che si è imposto anche nel food. L’inizio di Armani nel segmento ho-re-ca parte nel 1998, con l’inaugurazione del ristorante di Parigi, l’avvio di un progetto imprenditoriale che ha visto il marchio Armani arrivare fino a Pechino, dove un Armani Caffè ha aperto i battenti all’inizio di quest’anno all’interno del China World Shopping Mall, dopo aver conquistando con le sue insegne alcune vie prestigiose di città importanti come New York, Dubai e Tokyo.

Tre i filoni Armani nella galassia del “food and beverage”, dagli Armani Caffè, locali che uniscono la ristorazione alla caffetteria con servizio all day long. Il format Armani ristorante focalizzato sul fine dining, mentre gli Emporio Armani Ristorante e Caffè sono un concept più easy. Capitolo a parte la partnership Armani Nobu, dal nome dello chef Nobu Matsuhisa, guru della cucina giapponese. Primo locale aperto a Milano nel 2000, in un mix tra la tradizione nipponica e peruviana, con grandissima attenzione alle materie prime. Un progetto fusion che ha anticipato di almeno due lustri quello che in tanti avrebbero replicato dopo, focus sul sushi e su altri cult della cucina giapponese come la carne wagyu, con alcune sfumature sudamericane come il ceviche. Nobu Milano è diventato un must per la città, dove è stato proclamato lutto cittadino, ospitando al tavolo vip di moda, sport e spettacolo.

Tra gli asset strategici di Armani anche quello dell’hôtellerie di lusso. Nel 2005 la firma per un accordo con il colosso immobiliare di Dubai Emaar Properties per sviluppare una catena di hotel a marchio Armani, target cinque stelle in cui ogni dettaglio replicasse la visione del fondatore classe ’34. Due gli hotel realizzati in un progetto che avrebbe dovuto essere più ampio ma che è stato rallentato dalla pandemia. Armani Hotel Dubai inaugurato nel 2010 all’interno del Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo e l’Armani Hotel Milano, aperto nel 2011 in via Manzoni, dove tutto è cominiciato.

Due strutture diventate simbolo della filosofia Armani legata all’hospitality, il lusso della sobrietà e dell’eleganza, pezzi forti della casa che ha creato il “greige”, dalle tonalità dei sassi della Val Trebbia che Giorgio Armani originario di Piacenza frequentava da giovane. Con l’ingresso nell’hotellerie Re Giorgio ha trasformato il suo marchio in uno spazio fisico da vivere, l’estetica declinata in forma di ospitalità, una strategia di branding esperienzale, andando oltre alla semplice vendita di prodotti, per offrire agli ospiti una vera experience per diversificare il business e rafforzare il potere del marchio. A queste operazioni si sono aggiunti progetti residenziali come le Armani Beach Residences negli Emirati e il complesso di Madison Avenue a New York, dove boutique, ristorazione e appartamenti di lusso convivono in un unico spazio. Un’attenzione legata al mondo del food&beverage dimostrata anche nell’ultimissima attenzione de la Capannina di Forte dei Marmi, un luogo a cui Giorgio Armani era profondamente legato.

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