“Il barista fa il cuoco del caffè”. Con questa immagine evocativa Oscar Farinetti, imprenditore e fondatore di Eataly, ha aperto un confronto profondo sul futuro dell’espresso italiano, ospite dello stabilimento Kimbo a Melito di Napoli, su invito del presidente Mario Rubino. Al centro del dibattito: il giusto valore della tazzina, i costi crescenti della materia prima, la necessità di una nuova narrazione sul caffè italiano e l’impegno sociale delle aziende del settore.
Per Farinetti, il rito dell’espresso non è solo convivialità, ma il risultato di una filiera articolata: dalla coltivazione alla tostatura, fino al servizio. “Dobbiamo far percepire al cliente tutto questo lavoro. Così come è stato fatto con il vino, è ora di farlo anche per l’olio extravergine e il caffè. Non si può pensare che una tazzina costi un euro, mentre una bibita industriale viene venduta a prezzi molto più alti”.
Una sfida di qualità in un contesto complesso
Mario Rubino, presidente di Kimbo S.p.A., ha tracciato uno scenario economico difficile: “La domanda globale cresce, ma la produzione resta stabile. Abbiamo a che fare con tensioni geopolitiche, problemi logistici, speculazioni e un prezzo del caffè crudo salito del 300% in due anni. Anche il costo del pacchetto macinato è raddoppiato”. Per questo, secondo Rubino, è indispensabile contenere i costi, anche a scapito dei margini, e trasferire maggiore consapevolezza ai consumatori.
Il giusto prezzo della tazzina? almeno 1,70 euro
Farinetti rilancia: “Una tazzina di qualità dovrebbe costare almeno 2,50 euro. Soprattutto a Napoli, dove l’espresso è parte dell’identità culturale, possiamo legare il prodotto a ‘valori immortali’, come la convivialità e le storie. È anche una lezione che ci ha lasciato Eduardo De Filippo in Questi fantasmi”. Rubino concorda: “È sempre più complicato mantenere un prezzo basso. Il caffè meriterebbe almeno 1,70 euro a tazzina”.
Oltre il business: il valore sociale del caffè
Per Rubino, urologo di formazione con anni al Pronto Soccorso del Cardarelli, il caffè è anche un motore sociale: “Abbiamo avviato progetti come ‘Fatto a Scampia’ e ‘Chicco di Speranza’. Collaboriamo con il carcere di Secondigliano per coinvolgere il territorio. Per noi l’impresa è anche responsabilità”. Farinetti ricorda le sue origini nel caffè, con il padre fondatore di Unieuro nel 1967: “La lezione era semplice: la qualità prima di tutto. Ed è quello che ho cercato di portare anche in Eataly”.
Verso una nuova cultura della tazzina
Il messaggio emerso dal confronto è chiaro: cambiare la percezione del caffè significa valorizzarlo, raccontarlo, difenderne la qualità e riconoscergli il prezzo che merita. Solo così sarà possibile affrontare le sfide del mercato globale e garantire sostenibilità economica, sociale e culturale all’intero comparto.
FONTE: www.ansa.it/









