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Dal nord della Campania, al confine con il Lazio, si snoda una linea rossa solo all’apparenza netta e uniforme. Sono in realtà gocce, di un vino sanguigno non tanto per il colore quanto per la passione con cui è prodotto. È sempre stato prodotto anzi, perché il Falerno che oggi è la punta di diamante di Villa Matilde, si ritrova nelle tradizioni degli antichi romani, nei canti di poeti celebri e imperatori maledetti. È un vino che ha accompagnato la storia, che ha fatto la storia, e che avrebbe seriamente rischiato di morire se non fosse stato salvato dalla dedizione di un uomo prima, e dalle intuizioni della di lui famiglia poi. La linea rossa porta dritta a tremila anni fa. 

 

 

BUONGIORNO PROFESSORE – Villa Matilde è un naturale prolungamento del cuore e dell’anima di Maria Ida e Tani Avallone, i figli di Francesco, che varò il progetto nel 1965. Un solo sguardo distratto racconterebbe bugie: quella che sembra un’azienda familiare si rivela un percorso fuori dal tempo e dal mondo, un insieme di punti che uniti disegnano storia, cultura, famiglia. E perché no la giusta dose di follia. Francesco Avallone, scomparso nel 2006, era infatti un avvocato e professore di Istituzioni di Diritto Romano, delfino del leggendario Arangio Ruiz, che lo stimolò a conoscere il proprio territorio e le proprie origini fin nei particolari. “Non aveva alcuna conoscenza tecnica sui vini” racconta Maria Ida, oggi cervello e ambasciatrice di Villa Matilde, “ma iniziò a dedicarsi agli aneddoti che trovava nella sua sterminata biblioteca. Negli anni ’50 avviò quindi uno studio per identificare le varietà che avevano dato vita al Falerno, effettivamente il vino che ritrovava nei suoi testi sulla storia romana”. Era il vino decantato (e il caso di dire) da Marziale, Virgilio, Orazio.

EUREKA – Non c’erano fondi, Francesco decise di investire in proprio insieme a colleghi e amici, facendo ricerche nei fine settimana. I risultati alla fine furono entusiasmanti: “Scoprì che il ceppo del Falerno era sopravvissuto quasi indenne all’attacco della Fillossera, il terribile parassita che aveva devastato le coltivazioni nel XIX secolo, e che l’intero Ager Falernus (il nord della Campania, al confine con il Lazio, ndr) era assolutamente ancora un terreno fertile per ottenerlo“. E non perse tempo, trasmettendo ai figli (Tani e Maria Ida hanno altre due sorelle che non sono coinvolte nell’azienda) la passione e la dedizione per la vigna e il territorio: “Le prime volte in cui lo accompagnavo in vigna etichettavo le bottiglie. Ero giovanissima, andavo via la sera che ero praticamente brilla”. Strada spianata verso il mercato del vino? Nemmeno a parlarne: “Nostro padre era di fatto uno studioso, a suo modo uno scienziato. Non voleva commerciare nulla, siamo stati noi a spingere per metterci in discussione, spesso anche contro le sue riluttanze. Nel 1975 vendemmo la prima bottiglia di Falerno. E adesso eccoci qui“.

Maria Ida Avallone – Villa Matilde
© ADA MASELLA

MILLION BOTTLES BABY – Qui, appunto. 800.000 bottiglie l’anno, figlie della produzione che si divide tra i 75 ettari della tenuta di Cellole e i 25 di quella della zona Irpina, attiva dal 2004 e dal 2013 adibita anche a cantina. L’ultimo arrivo è un terreno nel beneventano, e resiste una piccola produzione di olio, in origine piuttosto corposa, oggi destinata esclusivamente alla struttura turistica di Villa Matilde: un agriturismo con SPA a Cellole. L’obiettivo è chiaro, luminoso e soprattutto alla portata: “Un milione di bottiglie l’anno“, la cifra tonda che si fa realtà grazie alla duttilità e alla voglia di apprendere che Maria Ida e Tani dimostrano con i fatti. “Eravamo orfani, per dirne una, di una proposta di spumanti. Nel 2010 abbiamo inaugurato la linea Mata, che adesso fa 30.000 bottiglie l’anno, divise equamente tra bianco e rosè“. Per quanto i numeri siano da capogiro, e la gamma proposta sia di livello eccelso, l’ancora è ben salda alle radici e ai valori con cui Francesco ha cresciuto i propri figli. Ed è questo, probabilmente, il primo motivo del successo di Villa Matilde.

COME IN FAMIGLIA – Lo spirito dell’azienda è infatti quello di una vera famiglia, sebbene sia passata tantissima acqua (o meglio tantissimo vino) sotto i ponti dall’apertura dei battenti: “Abbiamo scolpito Villa Matilde a modo nostro, partendo dal nulla. Nel tempo abbiamo iniziato a circondarci di personalità importanti e competenti, senza però dimenticare le nostre origini e ancor di più il nostro credo“. La struttura è piramidale, Maria Ida e Tani gestiscono un intreccio di ruoli con la speranza di poter inserire un giorno anche i loro figli: la figlia di Maria Ida, Mariacristina, studia Enologia all’Università di Napoli Federico II. La parte enologica e quella agronomica sono affidate a un consulente e un residente, che creano una sinergia pressoché introvabile altrove: “Sono più di vent’anni che ci avvaliamo dell’aiuto di Riccardo Cotarella, uno dei pionieri dell’enologia, consulente per le più grandi realtà del mondo. Al suo fianco l’enologo residente, Fabio Gennarelli: entrambi rispecchiano al meglio i nostri punti di forza, semplicità e amore per quello che facciamo“.

STUDIO E SQUADRA – Fabio Sorgiacomo e Carmine De Lucia hanno invece le redini della sezione agronomica. Una vera e propria squadra, senza la quale Villa Matilde non sarebbe quello che è. Un elemento ancor più importante forse del microclima che permette al vino di Villa Matilde di stupire e far innamorare, forte della mineralità dovuta al suolo vulcanico, e della sapidità che arriva dalla brezza marina: “Per andare veloci bisogna essere da soli, ma per andare lontano serve l’aiuto di persone fidate”. L’impronta intima e viscerale instillata da papà Francesco rimane indelebile e si percepisce nell’attività quotidiana, che si sviluppa tra la raccolta notturna in periodo di vendemmia (“Arriviamo a lavorare sedici ore al giorno. Prima ero molto più attiva anche manualmente, adesso rimango a supervisionare, non riesco a staccarmi del tutto. E poi porto i cornetti ai ragazzi“) e lo studio di nuove soluzioni per continuare a sfruttare con sapienza i 110 ettari di vite a disposizione, un altra eredità di Francesco: “La Falanghina e il nostro punto di forza, ma spaziamo verso vari orizzonti, il Passito ad esempio. E stiamo ponendo l’accento anche su alcune sperimentazioni, ci sono più di centoventi uve ma se ne utilizzano appena una ventina. Continuiamo a studiare, prima di tutto per il piacere della conoscenza“. Tale padre…

OLTRE GLI STEREOTIPI – L’orgoglio di Villa Matilde si traduce in un confronto costante, personale, spirituale quasi, una marcia in più quando si tratta di affrontare il mercato; perché se è vero che il legame con il Falerno è indissolubile, avrebbe potuto comportare anche una limitazione, escludendo importanti fette di consumatori che magari avrebbero altri gusti o idee: “Sì, ci sono state rinunce consistenti. Ma adesso le cicatrici sono fonti di un orgoglio e di un onore incommensurabili. Quando nel mondo parlano di Falerno, stanno parlando di noi“. Quello stesso mondo che all’inizio storceva il naso e voltava lo sguardo, forse (e neanche troppo forse) distratto dalla cattiva fama che il territorio del nord campano continua a portarsi a strascico. Maria Ida si è formata come diplomatica, Tani come avvocato, poi l’amore sempre crescente ha portato fin qui, al confronto con una dimensione nuova, affascinante e a tratti pericolosa: “Nessuno credeva in noi. Mi sono occupata dell’aspetto commerciale da subito, e non posso descrivere le difficoltà che ho incontrato per sradicare dalla mentalità altrui, soprattutto estera, il connubio tra questa terra e i problemi che la affliggono“. Missione compiuta però.

MAGIA D’ALTRI TEMPI – Matilde, a onor di cronaca, era la moglie di Francesco, la madre di Maria Ida e Tani, omaggiata per la sua pazienza e il sostegno inestimabile dedicato alla famiglia. Villa Matilde è un racconto. Un viaggio iniziato in un’aula universitaria che oggi continua a svilupparsi, abbracciando nuovi paesi e nuovi progetti. Il territorio rimane l’unica certezza, il punto d’origine e di ritorno per ogni nuovo inizio. Si ritrova nell’affumicatura suadente del Camarato (Falerno), nel calore esotico del Vigna Caracci (Falanghina), nel sottobosco da favola dello Stregamora (Piedirosso). Si riscopre nel futuro dell’azienda, allo stesso tempo innovativo con una politica sempre più green (certificata da numerosi attestati di qualità per Emissioni Zero) e tradizionale grazie al desiderio di produrre un maggiore sforzo nella conservazione del vino in anfora. “Era in fondo il metodo utilizzato dai romani, e la terracotta regala al vino una magia dei sensi che in altro modo è impossibile ottenere”. Sembrano chicche di tempi antichi. E invece è la realtà che solo la passione e il desiderio di conoscenza possono permettere di raggiungere.

Nec cellis ideo contende Falernis – Nessun vino può competere col Falerno” (Virgilio, 70-19 a.C.)

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