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Il mito della caverna di Platone è tra gli scritti di riferimento quando arriva il momento di interrogarsi, di fare chiarezza, per intraprendere il percorso per la vera conoscenza.

Il mondo del vino trabocca di tradizioni orali tramandate dai padri delle colline e tra gli appassionati più avventurieri, quando si è prossimi alla percezione dei fatti accaduti ed alla loro consequenzialità, le proiezioni della realtà (passata) si azzerano e la fame del sapere conduce verso quella necessita di costruzione. Un bisogno di ricostruzione.

È quello che accade nei dintorni del castello di Briona, in Alto Piemonte, di cui si narra la presenza già nel 995 e la sua fortificazione nel 1140. La posizione strategica, al culmine della collina, era un ottimo approdo militare preposto al controllo della pianura sottostante. Un luogo predestinato anche per la vite e il vino, che non si è fatto attendere.

Nel prosièguo dei secoli questa porzione di terroir è rientrata nella denominazione Fara e l’azienda Dessiliani, per diverse generazioni, è stata tra le più celebri interpreti contribuendo ad alimentarne la fama con vini festanti e lieti, superlativi per eleganza e longevità. Chi sostiene questo sogno ancora oggi è il Nebbiolo, un’uva che in questo bicchiere rimane in ombra al nome del toponimo, il Caramino. Un vino rosso ricercato ma sopratutto richiesto e prodotto principalmente per i Marchesi di Briona.

La vera svolta arriva sul finire degli anni novanta – nell’epicentro espansivo del vino italiano – con l’ottenimento del prestigioso premio del Gambero Rosso, i Tre bicchieri. Il Caramino diventa un faro per la zona, è il primo vino del Nord Piemonte a firma dell’enologo Beppe Caviola che svela la predisposizione storica della vigna esposta a sud-ovest capace di vestire il tannino – a detta dei guru della vigna – con un stile più piacevole, naturalmente soffice ed elegante per un vino perfetto per le feste. La sua apertura è un momento importante, la sua austerità concentra le sensazioni del palato, da lì a poco il vino diventa un modello, una creazione artistica di Gea.

Il nostro “bisogno di ricostruzione” sopracitato lo troviamo nel nuovo percorso intrapreso dal giovane Damiano Cavallini dopo l’acquisto di questa pregevole vigna da un’asta giudiziaria nel 2016.

Oggi l’Azienda Agricola dei Cavallini rappresenta la nuova visione e la proiezione al futuro delle virtù di questo terreno con una produzione limitatissima di un Colline Novaresi DOC Nebbiolo 2017 segnato da una nuova cifra stilistica. È solo uno il tonneau per 500 bottiglie numerate e 75 Magnum prodotte in circa un ettaro e mezzo.

Le botti scelte per riproporre al mercato questa storia hanno una tostatura leggera; la comprensione delle potenzialità e dei limiti del vino, e del vigneto, sono forse il vero motore di Damiano che si pone come obiettivo esclusivo l’esaltazione massima di queste 37 parcelle totali – pari a 5 ettari – oggi vinificate al 20%. In agenda è già previsto l’impianto di un ulteriore ettaro e mezzo mediante selezione massale da destinare al Fara che vedrà anche un cambio di assemblaggio con l’introduzione di qualche vitigno autoctono locale, Spanna e Uva rara, in attesa del nuovo disciplinare di produzione che dovrebbe prevedere una presenza minima intorno al 70-80% di Nebbiolo.

La cantina, in conversione biologica, propone anche vini meno impegnativi: un blend di Chardonnay ed Erbaluce, un’ uva Rara ancestrale e altri due Colline Novaresi DOC Nebbiolo: “Terre del Rosa” e “Altro” per un totale di 7 mila bottiglie prodotte annue.
– Colline Novaresi Doc Nebbiolo 2017 (30€)

La chiusura con la ceralacca anticipa una certa preziosità così come il numero univoco scritto in ogni pezzo. A liberare il sorso, e il vino stesso, ci pensa quell’energia intrappolata dal tempo che si trasforma, sfoderando tannini catturevoli, danzanti, dal ritmo costante ma sopratutto pacati. Le inequivocabili note balsamiche e di bacche rosse del Nebbiolo animano un gusto mai lezioso. Un simbolo di una ripartenza, dolce, pacata e misurata. E ora, non ci resta che aspettare i prossimi millesimi per vederne l’evoluzione.

 

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