L’Italia oggi importa dall’estero il 60% del suo fabbisogno di malto da orzo: una situazione che espone il comparto birrario nazionale a rischi di volatilità dei prezzi delle materie prime quando si verificano distorsioni di approvvigionamento sui mercati internazionali.
A causa, ad esempio, di condizioni atmosferiche avverse, lo scorso anno la produzione comunitaria di orzo è calata del 5%, con crolli accentuati in Danimarca (-26%) e Germania (-12%), Paesi che rappresentano il cuore della produzione nell’Unione Europea. Le condizioni di siccità e le alte temperature hanno generato un incremento delle quotazioni dell’orzo che lo scorso anno hanno raggiunto il livello più elevato dal 2013, con punte fino al +30%, con ripercussioni su tutta la filiera.
In questo contesto diventa opportuna in Italia una discussione sulla valorizzazione di una filiera agricola, capace di sostenere la crescente domanda del settore birrario e, contemporaneamente, favorire uno sviluppo sostenibile dei territori. La filiera produttiva dell’orzo da birra rappresenta un’opportunità per le zone rurali, marginali e non, dell’Italia: difatti, l’orzo da birra, grazie alle sue peculiari capacità di adattamento, la sua resistenza e la sua rusticità, cresce in qualsiasi ambiente pedoclimatico, rendendo possibile la coltivazione in aree che altrimenti non verrebbero qualificate. Terreni dismessi ed in disuso potrebbero vedere nuova vita grazie alla coltivazione di un cereale che, oltre ad essere adatto a quei territori, ha un basso impatto ed è sempre più necessario nell’economia della filiera brassicola italiana.
Dal punto di vista della qualità e della sicurezza, inoltre, tutte le coltivazioni di orzo da birra italiane sono costantemente monitorate e assistite, giorno per giorno, con l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici come, per esempio, le capannine agrometeorologiche installate sugli areali di produzione oppure i sistemi di web assistance. Così facendo è possibile ottenere una tracciabilità assolutamente rigorosa della materia prima di base e un calcolo della sostenibilità agronomica del prodotto. Alla vigilia della discussione per la rimodulazione della Politica Agricola Comunitaria (PAC) che, attraverso i contributi e le sovvenzioni orienta il settore agricolo verso gli obiettivi prioritari dell’Europa, tutti questi aspetti non possono non essere tenuti in considerazione perché questa filiera virtuosa va certamente valorizzata.
LA FILIERA DEL LUPPOLO
La filiera dell’orzo non è l’unica ad avere enormi potenzialità di sviluppo. Negli ultimi anni, infatti, si stanno moltiplicando le iniziative a sostegno di una crescita della filiera del luppolo in Italia, con AssoBirra, MiPAAFT e CREA in prima linea. Il MiPAAFT ha istituito un tavolo tecnico di lavoro del settore luppolo, in cui AssoBirra è protagonista, per il confronto sulla legislazione nazionale comunitaria e dei Paesi terzi, per lo sviluppo della certificazione, della qualità ed aspetti fitosanitari, sulla ricerca e la sperimentazione, ed è stato inoltre istituito un osservatorio economico e statistico. L’iniziativa quindi analizzerà la filiera nella sua interezza, evidenziandone le criticità e capendone le potenzialità.
Il CREA ha avviato Luppolo.it, il primo progetto di ricerca nazionale sulla coltivazione del luppolo in Italia. Gli obiettivi vanno dalla mappatura delle aree vocate in funzione dei principali fattori pedoclimatici, allo studio dell’adattabilità delle varietà internazionali di luppolo più diffuse; dalla gestione meccanizzata del luppoleto, all’analisi della variabilità genetica dei luppoli spontanei per un futuro programma di breeding, alla valutazione dello stato fitosanitario dei luppoleti; dalle dinamiche economiche-strutturali della filiera, al trasferimento dei risultati ottenuti agli stakeholders.
Le prospettive di crescita di una filiera del luppolo sono poi state recentemente approfondite in un convegno promosso dal CREA a cui ha partecipato AssoBirra e intitolato “Criticità e opportunità per lo sviluppo sostenibile di una filiera del luppolo italiano”. L’evento, al suo secondo anno, ha rappresentato il punto d’incontro, a livello nazionale, tra tutti i protagonisti della filiera, dai coltivatori fino agli utilizzatori. Al convegno, hanno preso parte tutti gli operatori (Ministero, enti locali, ricercatori), con i quali è stato fatto il punto sulle potenzialità della luppolicoltura italiana e del suo utilizzo nella produzione birraria. Durante il convegno sono stati presentati i risultati del secondo anno di attività del progetto Luppolo.it.
Questi hanno messo in evidenza, in particolare, il legame tra la materia prima e il territorio, il cosiddetto “effetto terroir” già noto nel settore enologico; le tecniche analitiche dei principali parametri merceologici del luppolo; il censimento dei luppoleti italiani con il loro monitoraggio fitosanitario e lo stato dell’arte sulla meccanizzazione della coltura in Italia. Il Convegno ha inoltre affrontato momenti diversi di approfondimento legati allo stato dell’arte della ricerca italiana sul luppolo, che ha coinvolto i ricercatori italiani che a vario titolo da anni conducono studi nel settore. Si è inoltre discusso, in un focus con le Regioni, sulle opportunità di finanziamento proposte dai Piani di Sviluppo Rurale 2014-2020 e sulle diverse leggi regionali sulla filiera brassicola artigianale/agricola come volano di sviluppo per il settore.
+Info: Report Assobirra 2018 www.assobirra.it