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Con le dovute cautele, che per fortuna vanno via via allentandosi, il mondo guarda finalmente al consumo post COVID-19. E lo fa con un confermato interesse verso soluzioni analcoliche, soprattutto quelle che hanno dimostrato attenzione ai consumatori affezionati e capacità di adattamento: non deve sorprendere, allora, che Coca-Cola sia (ancora una volta) sul gradino più alto nella classifica delle bevande senza alcool di maggior valore. 

35.4 miliardi di dollari: è il cosiddetto brand value del colosso di Atlanta, secondo l’annuale report di Brand Finance, la principale agenzia di settore al mondo. A questo si aggiunge a una valutazione di elite AAA+ nella metrica che Brand Finance compone, attraverso un punteggio a questionario che decreta la forza complessiva di un marchio: per ottenerlo, l’agenzia raccoglie oltre centomila risposte da oltre trentacinque paesi, con domande che vertono sulle più disparate dinamiche aziendali (dall’impatto ecologico alla soddisfazione dei dipendenti). La tripla A+ è quindi indicatore della “sicurezza” dell’investimento in Coca-Cola, per dirla in soldoni; al secondo posto nella classifica per valore si piazza l’eterna rivale, Pepsi (20.7 miliardi di dollari), mentre la prima italiana in graduatoria è Lavazza, quattordicesima.

Se in ottica generale il continuo e costante successo di Coca-Cola non dovrebbe fare notizia, considerando l’ormai più che consolidata presenza del brand nel tessuto sociale globale, può apparire invece curioso come la sua presenza ai piani alti non sembri intaccata dai nuovi trend, o dai nuovi regolamenti. Il consumatore medio vira ormai sempre più spesso verso una bevuta salutare, una riduzione dell’assunzione di calorie e uno stile di vita sano (senza apporto alcolico, va da sé), e anche i governi hanno iniziato a mostrare i muscoli contro i problemi di salute causati da una cattiva alimentazione. Negli Stati Uniti, caso di studio purtroppo emblematico quando si tratta di obesità soprattutto giovanile, la Dietary Guidelines for Americans ha fortemente suggerito per il quinquennio 2015-2020, un consumo di zuccheri aggiunti che non superasse il 10% delle calorie giornaliere.

Coca-Cola, che ha di fatto costruito il proprio impero su una ricetta, segreta, piuttosto ricca di zucchero, ha in realtà reagito brillantemente al cambiamento, arrivando ad implementare una gamma che presenta ormai qualsiasi alternativa sugar free e senza caffeina (altra componente malvista, negli anni). Il valore del brand, che come la stragrande maggioranza delle realtà economiche mondiali ha comunque registrato un calo di vendite a causa delle chiusure imposte dalla pandemia, beneficia di una politica di “svecchiamento”, che mira appunto a proposte meno impattanti sulla salute e al raggiungimento di obiettivi di interesse comune: su tutti, quelli relativi all’ambiente, con un packaging completamente riciclabile e sostenibile. Sono scelte che agli occhi degli acquirenti abituali dimostrano un impegno per il pianeta e per il bene dei clienti.

Le riaperture, che hanno ovviamente permesso un ritorno alla convivialità e quindi al consumo cosiddetto on premise (cioè nei luoghi di ritrovo e vendita come bar e ristoranti), hanno anche del tutto squarciato il velo sulla nuova consapevolezza dei consumatori, circa salute e benessere: se a ciò si aggiunge un’ondata di alte temperature come forse mai si erano viste in passato, i risultati conseguiti dai marchi di energy drink non dovrebbero dichiararsi come inaspettati. Monster (+29%, 6.3 miliardi di dollari), Lipton (+27% 3.2 miliardi di dollari) e Gatorade (+26%, 5.3 miliardi di dollari) sono i tre brand analcolici che hanno registrato la crescita maggiore nel 2022, secondo lo stesso report. Soprattutto nel caso del tè e del caffè, pur trattandosi di prodotti di altissima gamma, la componente economica gioca un ruolo fondamentale, considerando il costo tutto sommato contenuto dei prodotti in questione. Il prossimo anno sarà ancora diverso?

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