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Di seguito è riportato un articolo di Luigi Odello (Professore di analisi sensoriale in diverse Università italiane e Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè) che analizza i risultati della quinta edizione del Coffee Experience che si è svolta a Vinitaly 2013 nell’isola sensoriale, mettendo in evidenza alcune tendenza fondamentali nel consumo di caffè in Italia. L’articolo è stato già pubblicato nell’edizione 2013-2014 dell’annuario COFFITALIA di Beverfood.com Edizioni.

Una crisalide che si trasforma in farfalla non fa rumore, ma quello che esce dal bozzolo è completamente diverso dall’inquilino che l’ha preceduto. Così pare succedere nel mondo del caffè, dove però il bozzolo è rappresentato da¬gli operatori commerciali, mentre i produttori paiono non accorgersi della catarsi in corso. Il caffè ha sempre vissuto percorsi suoi per giungere al consumatore: quello del bar, quello dello scaffale destinato alla casa e quello della distribuzione automatica. Soprattutto quello destinato all’horeca è stato caratterizzato da forme di commercializzazione molto differenti dal vino, dai superalcolici e dagli altri prodotti.

Venditori specializzati, molte volte monomandatari o addirittura dipendenti di torrefazioni che colonizzavano prevalentemente un territorio intorno all’azienda. Pochi si avventuravano a livello nazionale, alcuni occupavano una o più regioni, ma molti si fermavano alla provincia di appartenenza. Però consolidavano rapporti fortissimi con il pubblico esercizio. Una cosa più di ogni altra rende evidente questo rapporto: in Svizzera il bar si distingue per l’insegna della birra che offre, da noi per quella del caffè. Non c’è mai stata un’azienda vinicola o degli spirits che abbia potuto fare altrettanto, anche se di dimensioni ben maggiori rispetto alla torrefazione.

Ma il futuro sarà ancora così?

La quinta edizione del Coffee Experience che si è svolta a Vinitaly 2013 nell’isola sensoriale, con la registrazione di ben 1.145 persone che in quattro giorni hanno compiuto 4.739 assaggi potendo scegliere su 36 diversi caffè, ci porta a numerose riflessioni sull’argomento. Non abbiamo infatti solamente a disposizione la frequenza con la quale una referenza è stata scelta e la conseguente valutazione sensoriale, ma anche una dettagliata descrizione di ogni singolo partecipante con la sua caratterizzazione sociodemografica, le sue abitudini di acquisto e di consumo, le sue attese. Possiamo tentare delle ipotesi, perché dall’interpretazione dei dati sarebbe supponente cercare delle sicurezze, ma individuare tendenze ci è consentito. E lo faremo incrociando quanto rilevato al Coffee Experience con le ricerche che fa regolarmente per noi “Apertamente” di cui diamo sistematicamente notizia su Coffee Taster (www.assaggiatoricaffe.org) .

Un pubblico nuovo sta cercando il caffè

L’acqua minerale è forse riuscita a generare un consumo più attento di quanto non sia ancora riuscito il caffè. Di sicuro il consumatore la sa distinguere in base alla saturazione carbonica, ma a livello di ristorazione si è persino raggiunta la non facile realizzazione della carta delle acque. Il bar dove prendere il caffè è invece scelto per abitudine o comodità (56%, dato che sale ancora se si considera che il 19% dei consumatori ha dichiarato ad Apertamente di non prendere caffè al bar) e di fronte allo scaffale delle distribuzione moderna il 52% compra sempre la stessa marca o addirittura lo sceglie in promozione.

Questo atteggiamento del consumatore genera un circolo vizioso che porta i torrefattori a non investire in qualità, preferendo invece la più efficace pubblicità e/o maggiori margini di contribuzione da riservare a servizi per i baristi. E questi ultimi, non temendo una ritorsione dei clienti dovuta a una cattiva qualità dell’espresso, scelgono miscele facili ed economiche, gestiscono male la macchina e il macinadosatore e, in definitiva, sono ben lungi dal dimostrare virtuosismo nel loro lavoro. Naturalmente stiamo facendo una grande generalizzazione indotta dai numeri, perché baristi virtuosi esistono e torrefattori attenti alla qualità pure.

Proprio per questi Coffee Experience porta una interessante prospettiva: al caffè si sta avvicinando un mondo nuovo fatto per i due terzi da gente in piena attività lavorativa (30-49 anni), ad alta scolarizzazione (l’83% ha una laurea o un diploma), dotato di una buona capacità di spesa (45% imprenditore o libero professioni¬sta). Ma il dato più interessante è che un quinto di questi partecipanti al banco di assaggio ha un locale o comunque è un intermediario del commercio. Se volgiamo uno sguardo alla sto¬ria del dopoguerra, la qualificazione del vino e delle acquaviti ha visto protagonisti gli operatori dell’horeca: prima al ristorante, poi sullo scaffale della distribuzione moderna.

Per il caffè si sta quindi profilando un nuovo rinascimento, perché questa è gente che vuole farne un elemento distintivo per la propria professione. Solo che richiedono al prodotto quello che oggi hanno dal settore enologico: una narrazione che consenta di parlarne ai loro clienti. Ma le domande di conoscere le origini che compongono la miscela, le modalità di tostatura, gli elementi peculiari di quel determinato caffè rimangono senza risposta: i torrefattori si mantengono nel riserbo senza rendersi conto dell’inutile delusione che producono.

Ancora in discesa la leggenda del puro Arabica

Se bianco o rosso costituisce la principale discriminazione per il vino, liscia o gassata quella dell’acqua, pura Arabica o no è quanto di bello è riuscito a generare in fatto di discriminazione il mondo del caffè. E sarebbe giusto, se il mondo dei “pura Arabica” non fosse stato invaso da una pletora di prodotti che potevano vantare questa denominazione solo per discendenza genetica, perché il loro profilo sensoriale dichiara apertamente una presenza importante di verdoni, bianconi, chicchi fermentati e amenità del gene¬re, tutte concorrenti alla determinazione di caffè astringenti e/o puzzolenti. Questo ha deluso il consumatore e soprattutto gli operatori che, intervistati a Coffee Experience, hanno rivelato di credere sempre meno al puro Arabica.

Ancora in ascesa l’espresso casa

Da un recente sondaggio di Apertamente si rileva che solo il 14% dei consumatori fa uso di cialde e di capsule in casa. Ma se la percentuale pare bassa, trasformata in frequenza dichiara milioni di utenti che compiono più atti di consumo al giorno. Ed è un partito in crescita, nonostante la difficile situazione economica che stiamo attraversando. Ma è diventato uno dei piccoli lussi che la gente si concede per appagare quella ricerca del piacere, forse un po’ delusa dal bar. Fatto sta che anche al Coffee Experience si è rilevato una maggiore frequenza di consumo di monodosi rispetto allo scorso anno e agli anni precedenti. E comincia a no¬tarsi anche un interesse all’utilizzo di pod da parte dei locali basso vendenti che desiderano però offrire un caffè di qualità e non di rado un rito di fine pasto attraverso la carta dei caffè.

A cura di Luigi Odello
Professore di analisi sensoriale in diverse Università italiane
Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (www.assaggiatoricaffe.org/site/)
Segretario Generale dell’Istituto Nazionale Espresso Caffè (www.espressoitaliano.org/en/)

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1 Commento

  1. Buongiorno.mi date un parere su un caffè in cialde.vorrei fare network con una azienda che si chiama momento espresso..grazie chi può aiutarmi

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