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Sipsmith, da un garage di periferia alla rivoluzione del gin


In un mondo che raccoglie numeri invece di seminare passione, più attento al volume delle vendite che alla qualità del prodotto, una decina di anni fa andava inserendosi una realtà fuori dal coro, che incurante delle difficoltà iniziava un viaggio da un garage londinese fino all’elite del panorama dei distillati. È la storia di Jared Brown e del suo Sipsmith Gin, autentica rivoluzione nei ferrei schemi britannici e nella dimensione del gin mondiale.

Intervista a Jared Brown Mastro Distillatore di Sipsmith

Una vera e propria crociata combattuta contro il gin concentrato, “industriale”, cui i distillatori ricorrono per tagliare i costi e aumentare i volumi di produzione: “Volevo riportare in auge il gin artigianale, era scomparso, offuscato soprattutto dalle ingenti quantità di vodka prodotta” racconta Brown, che nel 2006 organizzò con sua moglie Anastasia un simposio sul gin a Londra, in un teatro, cogliendo l’occasione per arringare i rappresentanti delle varie compagnie che erano presenti. “Quasi ignoravano l’esistenza del craft gin, il gin artigianale, erano solo alla ricerca dei numeri compromettendo la tecnica di lavoro”. Servivano passione e dedizione, che Brown trovò in Sam Galsworthy, ex impiegato Fuller, e Fairfax Hall, proveniente da Diageo, che trasfusero in un unico progetto i loro desideri comuni di non reinventare il gin, bensì farlo tornare alla tradizione, alla storia. “Avevano bisogno di un distillatore, e io dissi loro che avevo iniziato in distilleria a dieci anni…”.

da sx: Jared Brown, Sam Galsworthy e Fairfax Hall – Sipsmith Gin

Il sodalizio, che va avanti indisturbato e anzi continua a mietere successi, segnò una svolta epocale nella storia del bere britannico: due anni e mezzo di scartoffie e burocrazie per vincere i vincoli del Gin Act, risalente addirittura al 1823, che sanciva l’impossibilità di aprire nuove distillerie. Dalle dodici già esistenti, si è passati alle oltre 350 attive oggi, solo grazie all’infaticabile lavoro e alla testardaggine di Brown e i suoi due soci: “Non ci siamo neanche preoccupati di formare o aiutare la concorrenza. Il nostro obiettivo è da sempre il gin artigianale, e chiunque segua le nostra idee per produrne di proprio, in realtà è dalla nostra parte”. Parole al miele per la materia, che Brown ha studiato, introiettato fin nel profondo, per arrivare alla ricetta che ha lanciato Sipsmith nell’Olimpo del beverage mondiale.

La formula di Sipsmith affonda infatti le proprie origini nel 1600, nelle ricette originali risalenti a prima della Guerra dei Trent’anni (1618-1648) che Brown studia e analizza: “Scorrendo trai libri mi sono imbattuto in alcune migliorie che vennero apportate alla ricetta verso il 1860. La perfezione, credo”. Storia e etica, in un solo imbuto verso la meta, la produzione del gin con metodo “one shot”: le esatte quantità di botaniche nell’esatto quantitativo di alcol, a differenza del metodo “multi-shot”, nel quale si utilizzano numerose botaniche, circa il triplo, e il prodotto è super concentrato, tanto da doverlo tagliare con alcool neutro per ristabilire le proporzioni. Inutile dire, il “one shot” comporta costi e ore di lavoro ben più importanti perché la produzione, seppur d’eccellenza, è minore: “Con l’unico alambicco che avevamo producevamo 300 litri di one shot. Se avessimo prodotto gin concentrato, nello stesso tempo avremmo ottenuto 9000 litri!”.

L’alambicco, appunto, il cui collo sinuoso è la fonte del marchio distintivo di Sipsmith, il cigno, e l’artefice dei sentori così tipici del prodotto grazie al contatto tra distillato e rame, che elimina zolfo e grassi. I primi passi prima di spiccare il volo si muovono in un garage del West Side di Londra (dove altro fare il London Dry Gin?), come le rock band o i geni informatici degli anni ’80. “Trovammo un garage che era stato un birrificio in passato, e prima ancora lo studio di Michael Jackson”. Lo scrittore, non il cantante. “E ottenemmo la licenza, la prima a Londra in duecento anni, con un documento che per un errore di battitura recitava una data di avviamento sbagliato. In pratica trascorremmo i primi nove mesi come distillatori illegali, roba che nemmeno ai tempi del Proibizionismo”. L’export si estendeva appena fuori Londra, il marketing consisteva in adesivi incollati alla vespa con cui effettuavano le poche consegne richieste.

Eppure di strada ne hanno fatta. Nel 2014 Sipsmith passa a un “garage” più grande con quattro alambicchi, addirittura oggi è il gin del Parlamento inglese con una versione esclusiva dedicata. E si continua a sperimentare e perseguire nella tradizione, pur proponendo soluzioni alternative di livello assoluto: se il cuore rimane tutto per il London Dry Gin (“Non siamo noi a essere diversi, sono gli altri ad essere lontani dalla tradizione”), il portfolio Sipsmith annovera anche lo Sloe Gin (“Il Limoncello britannico”), citrico e agrumato, e soprattutto il VJOP. La rock star del gin, l’unico al mondo a contenere di fatto tutti e tre i modi per introdurre il ginepro nel London Dry: macerato, non macerato e trattato al vapore. Sip, sorso. Smith, fabbro. Artigiani, quindi, di un gin artigianale trai migliori del mondo.

Fonti: medium/freniefrizioni

Sipsmith è distribuito in esclusiva da OnestiGroup

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