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«Il suolo – puntualizzano i microbiologi Lydia e Claude Bourguignon – è il primo strumento del viticoltore, che deve innanzitutto capirne la vocazionalità e non farsi guidare dal marketing, quando sceglie le varietà da coltivare. Bisogna ascoltare il suolo, rispettarne le leggi, l’equilibrio, l’impressionante ricchezza biologica, la capacità di rigenerarsi. Un solo grammo di suolo vivo contiene miliardi di batteri, funghi, microbi. È la più grande energia che a livello chimico si possa trovare nel pianeta».

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Queste parole sintetizzano lo spirito che anima la Slow Wine Fair, la manifestazione organizzata da BolognaFiere con la direzione artistica di Slow Food che termina oggi, dopo tre giorni di approfondimenti e assaggi delle oltre 5.000 etichette in degustazione. L’obiettivo principale della fiera bolognese, che per la terza edizione ha riunito più di 1.000 produttori, è cambiare l’approccio all’agricoltura, partendo da un fronte cruciale – la viticoltura – e mettendo al centro la fertilità del suolo. L’industrializzazione dell’agricoltura ha compromesso la salute dei suoli attraverso un uso eccessivo di sostanze chimiche di sintesi e lavorazioni profonde. A questo si aggiunge la cementificazione, che procede senza tregua. Ogni 5 secondi perdiamo una porzione di suolo fertile, equivalente a un campo di calcio. Continuando a questo ritmo, si calcola che il 90% dei suoli del mondo sarà a rischio entro il 2050. Ma senza terreno fertile non c’è agricoltura e senza agricoltura non c’è cibo. La terra è anche fondamentale per mitigare la crisi climatica: costituisce il più grande serbatoio naturale di carbonio del pianeta e la sua capacità di stoccaggio è direttamente proporzionale alla sua fertilità.

«Sono tanti i contadini che hanno scelto la strada di lavorare con, e non contro, la natura – sottolinea Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia –, adottando pratiche rispettose e dimostrando che un’altra agricoltura è possibile, oltre che urgente. Il 50% delle aziende vitivinicole presenti a Slow Wine Fair sono certificate biologiche o biodinamiche e questo dimostra che sostenibilità ambientale, economica e sociale sono compatibili, e quello per noi è il modello di riferimento. Il loro lavoro è a beneficio degli ecosistemi e dei cittadini, con la prospettiva di conservare la biodiversità e la fertilità del suolo per il futuro di tutti noi e delle prossime generazioni».

Il vino, grazie al suo radicamento territoriale, la sua storia e presenza in molte nazioni, può essere un testimonial importante di questa nuova agricoltura, e i dati di crescita degli ettari vitati a biologico lo dimostrano. In Italia, il biologico certificato (molto non lo è per via dei costi) ha raggiunto il 19% della superficie destinata alla viticoltura, e negli ultimi 10 anni le superfici di vite coltivate a bio sono aumentate di oltre il 145%.

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Nonostante questo dato positivo, in agricoltura si usa ancora troppa chimica di sintesi. L’Italia è tra i maggiori consumatori di pesticidi a livello europeo: dall’ultimo report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA, 2020) risulta che nella Ue il consumo di prodotti chimici di sintesi in agricoltura è complessivamente di 340.000 tonnellate, pari a una media di 1.57 Kg per ettaro, mentre in Italia il consumo medio si attesta a 5,2 Kg per ettaro. L’uso dei pesticidi inquina le falde acquifere, riduce la fertilità del suolo, minaccia gli insetti impollinatori, compromette la crescita e la riproduzione naturale delle piante, e mette a rischio la nostra salute.

I viticoltori presenti a Slow Wine Fair dimostrano che un modello alternativo è possibile e che c’è chi lavora il suolo con rispetto, seguendone la naturale vocazione. «Questi vignaioli hanno fatto da tempo una scelta precisa – dice Giancarlo Gariglio, coordinatore della Slow Wine Coalition e curatore della guida Slow Wine –, che va nel senso della drastica riduzione o totale cancellazione della chimica di sintesi. Inoltre, utilizzano le risorse ambientali in maniera cosciente e sostenibile, sono lo specchio del terroir di provenienza, di cui preservano la biodiversità, e sono motori di crescita sociale delle rispettive comunità di appartenenza».

Da Slow Wine Fair arriva anche un’altra richiesta precisa: investire in una ricerca scientifica indipendente che aiuti chi vuole fare agricoltura sostenibile: «In questi giorni – aggiunge Francesco Sottile, professore all’Università di Palermo e referente scientifico biodiversità di Slow Food –, parlare di sostenibilità e di riduzione dei pesticidi è quanto mai complesso, in un quadro generale inquinato da una strumentalizzazione che ha posto agricoltura e ambiente in contrapposizione. Una strada sbagliata, perché se la tutela dell’ambiente e la produzione agricola non diventano alleate non si può innescare quella conversione ecologica che è oggi inderogabile. Se vogliamo davvero riconoscere e sostenere la fragilità dei nostri vignaioli, dobbiamo dare loro gli strumenti per mettersi dalla parte giusta, contrastando la crisi climatica con modelli di vera agroecologia».

 

+ info: slowinefair.slowfood.it

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