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Alessandro Ismaele Avilla, l’arte di raccontare storie nei cocktail, per crescere e far appassionare


L’ispirazione può arrivare da qualsiasi cosa. Può essere figlia di un viaggio, di una città, di film o di un piatto. È questo che contraddistingue gli artisti, la capacità di trasformare la loro ispirazione del momento in qualcosa di condivisibile con gli altri, e fargli rivivere le stesse emozioni.

Alessandro Ismaele Avilla è un bartender, e ha la capacità di convertire la sua vita e il suo percorso in cocktail, per raccontare la sua storia, proprio come farebbe un pittore con un quadro.

 

Alessandro, la tua storia personale e il tuo percorso di crescita ti hanno portato negli ultimi anni a crescere molto a livello professionale. Ti va di raccontarci la storia e le strade che ti ha portato fino a qui?

Tutto è iniziato circa 17 anni fa, aiutando mio Papà a tempo libero dalla scuola. All’epoca non avrei mai pensato che potesse essere il lavoro che avrei fatto poi in futuro. Invece eccomi qua. Da quando ho deciso di intraprendere questa carriera però, è come se ogni tappa fosse diventata una pietra miliare; nel 2005 approdo come novizio al Gran Caffè Gambrinus di Napoli, dove muovo i miei primi passi come barman e cameriere, prima esperienza vera nella quale capii che il bar era la mia vera passione. Nel 2006/2007 mi sono spostato in Liguria dove sfruttando il lavoro stagionale cominciai a lavorare come barman nelle discoteche, fino a diventare responsabile. La realtà però era che non mi sentivo completo e che mi mancavano molte basi e competenze. grazie ad alcuni colleghi dell’epoca mi affacciai al nuovo mondo del bartending…

 

E per farlo sei dovuto partire. Un altro passaggio fondamentale, anche perché le influenze estere sono molto presenti nei tuo cocktail. Raccontaci da dove viene questa impronta internazionale.

Nel 2008 mi spostai a Londra. Fu praticamente un ricominciare, partii come Barback al Light Bar del St Martins Lane Hotel, nel quale cominciai a capire quanto fosse importante conoscere gli ingredienti e le materie prime, ma soprattutto mi insegnarono forse la cosa più importante: imparare ad imparare!

Sviluppai la capacità di trovare le informazioni che potessero servirmi a crescere come professionista. Da li fu una crescita, che continua ancora oggi. Passai circa un anno e mezzo a Londra, per poi riapprodare di nuovo in Liguria portando con me il mio nuovo bagaglio. Da li sono passato per Firenze al Fusion Bar & Restaurant del Gallery Hotel Art, dove ho espresso uno dei miei migliori momenti creativi, arrivando poi a Milano. Prima Dry, dove a stretto contatto con professionisti del settore, quali Guglielmo Miriello e gli chef Simone Lombardi e Fabio Gambirasi, ho cominciato a pescare nel mondo della cucina giocando con i cocktail del passato. Ma le influenze non vengono solo dalle città dove sono stato, ma anche dai locali dove ho lavorato… ad esempio al Sushi B dove ho potuto affinare la conoscenze delle tecniche sfruttando i prodotti Orientali ma soprattutto quelli Giapponesi. Infine il Truffle Restaurant & Cocktail bar di Savini Tartufi dove posso cimentarmi con un ingrediente principe il Tartufo.

La tua crescita professionale negli ultimi anni è stata costante, sei tra le altre cose uno degli otto finalisti del WorldClass di Diageo. Come ti senti riguardo a questa nuova sfida?

È sempre un’emozione incredibile! Fortunatamente non è la prima volta che partecipo a gare e competizioni, ma devo ammettere che nonostante l’esperienza è sempre entusiasmante. Devo poi ammettere che ho un  debole per Worldclass, quindi per me è sempre motivo di orgoglio parteciparvi, è la terza partecipazione e speriamo quella fortunata!!

Molti nel settore non vedono di buon occhio le Competitions, invece le trovo un ottimo modo di crescere, non solo perché ci si mette costantemente alla prova ma anche perché si scoprono tantissime tecniche dagli altri concorrenti. In pratica sono pentoloni di idee!!!

Inoltre il bello è che non esiste il migliore Barman ma bensì colui che riesce a creare la migliore prova, colui che riesce meglio ad interpretare le regole ed i temi. Il che rende le competitions grandi momenti di bartending. 

 

Oggi lavori in stretto contatto con la ristorazione, e nei tuoi cocktail ci sono sentori tipici dei migliori piatti, come il tartufo, timo, rosmarino…  quanto ti influenza il mondo della cucina e i suoi ingredienti nel tuo modo di creare, e quanto questo scambio è reciproco?

Dico onestamente che ora come ora cucina e bar sono strettamente legati. In primis direi che non sono gli ingredienti delle cucina il vero connettore ma bensì gli strumenti che sono nati per la cucina ad aver cambiato le carte in tavola. Per spiegare meglio non è tanto l’uso di un ingrediente in particolare a fare la differenza ma il modo in cui lo si lavora per poi utilizzarlo. Visto che per lavorarlo esistono molti più attrezzi in cucina rispetto al bar ecco trovato il legame. Sfruttiamo le nuove conoscenze per ottenere nuovi percorsi di lavorazione. Detto ciò posso dirti che la cucina mi influenza davvero tantissimo. Inoltre ora mi cimento con il Tartufo che presenta diverse difficoltà di lavorazione. Questo non fa altro che alimentare la voglia di riuscire nell’utilizzo dell’elemento.

Inoltre è molto importante ora il legame che si crea creando cocktail che fanno paring con i piatti. Per meglio dire i cocktail diventano parte importante di un servizio come se fossero dei vini scelti in abbinamento ad un piatto. In tal modo si riesce a creare un’esperienza ancora più dettagliata e sensoriale.

 

Per te vale più la tecnica o l’estro creativo ed artistico?

Sono tutte cose importanti. Adoro la tecnica e la trovo indispensabile per poter rendere vivo il resto. In pratica attraverso di essa si riesce a dar vita in modo molto più chiaro e diretto alla creatività e al lato artistico. Senza si rischia di non essere fluidi e chiari.

Inoltre un barman tecnicamente bravo risulta essere molto più apprezzato dal pubblico poiché riesce a curare ogni aspetto del lavoro. Detto questo il resto è fondamentale! Senza creatività si resta solo esecutori di idee degli altri, per tanto come ho già detto sono tutte cose molto importanti.

 

Raccontaci uno dei tuoi cocktail, e la storia di come è nato.

In vero ce ne sarebbero tanti, ma a quello a cui sono molto legato si chiama Aurevoir Soshanna. E’ un cocktail nato per The Mixing Star 2013 competition organizzata per Disaronno. Quell’anno il tema della gara era il cinema, bisognava creare un cocktail che fosse legato ad un film di nostra scelta. Io scelsi Inglorious Basterds (Bastardi Senza Gloria) di Quentin Tarantino. Film incentrato nella seconda guerra mondiale che riscriveva un po’ la storia.

Il drink è una rivisitazione di un cocktail classico il Sazerac, servito in una fiaschetta da tasca per rimanere in tema con il Film.

Gli ingredienti della ricetta sono i personaggi stessi, ovvero ad ogni personaggio è collegato un ingrediente del drink. Composto da Tennessee whiskey, Chartreuse verde, Bitter al cioccolato, Cherry brandy, Disaronno e zucchero, è un cocktail dopo cena morbiso e avvolgente, con note pungenti ma allo stesso tempo delicate.

Il tutto viene servito con un’acqua aromatizzata al Peychaud’s bitter, ingrediente fondamentale del Sazerac per ricordare il drink d’ispirazione, fumo alla cannella che accompagna un crostino di pale salato con cioccolato fondente e olio extra vergine d’oliva aromatizzato. Il nome è tratto da una delle scene iniziali del film con una ricca carica di pathos. Per capire di più invito a guardare il film non ve ne pentirete.

 

Alessandro Ismaele Avilla su Facebook

 

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