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La galassia mixology si espande e si comprime, vive dei suoi ritmi, delle sue mode e dei suoi costumi. È gestita da tutti e da nessuno, il motore del bancone è di fatto un insieme di cose che a sua volta si modifica; consumatori, addetti ai lavori, prodotti, pensieri. E la figura del bartender è forse quella che più di tutte è chiamata a tenere almeno un minimo le redini del carrozzone: la parola d’ordine è quindi credibilità, in cattedra Mauro Mahjoub e le stelle del bere mondiale.

Lo si impara trascorrendo notti al lavoro, cofrontandosi con i colleghi e soprattutto studiando. A maggior ragione se si ha la possibilità di farlo direttamente dalla voce del gotha del bere, supportati dal brand italiano per eccellenza. A poche ora dalla finale della Campari Barman Competition della scorsa settimana, Campari aveva infatti organizzato una tavola rotonda, con tanto di masterclass d’eccezione, per i partecipanti alla competizione. Personaggi che hanno a loro modo fatto la storia della miscelazione italiana e non, a divulgare e raccontare le proprie esperienze e le proprie conoscenze, rimarcando soprattutto quanto importante sia per un bartender studiare e mantenere i piedi per terra.

THE MAESTRO – Salvatore Calabrese, The Cocktail Maestro, la leggenda made in Italy che ha fatto grandi banconi di Londra e mezzo mondo, è un’enciclopedia di aneddoti, tutti collegati da un concetto di fondo: “Non dimenticate mai che per avere successo c’è bisogno di fatica. Nessuno vi regala niente, il vostro compito finale è quello di superare le vostre difficoltà, per rendere migliori le serate e le vite altrui. In cinquant’anni di carriera ne ho viste di ogni: ho addirittura fatto incontrare al mio bancone due persone, che dopo pochi mesi hanno finito per sposarsi, e il loro figlio viene a bere da me adesso”.

NON SI FINISCE MAI DI IMPARARE – Predisposizione al lavoro, e fame di sapere, perché l’universo del bere è, va da sè, liquido e in continuo movimento. “Leggete il più possibile, sempre e ovunque”, consiglia Leonardo Leuci, proprietario del Jerry Thomas Project di Roma. “E andate a cercare vecchie edizioni, confrontatevi con metodi e concetti che non credete siano vostri. Solo così potete crescere”, lasciando tra l’altro da parte la mixology ultramoderna che troppo spesso dà alla testa dei più giovani. “Non serve a niente trovare miscele all’avanguardia o usare ingredienti semi sconosciuti, se poi non siamo capaci di fare un Irish Coffee perfetto. I classici sono la base, senza quelli non si va da nessuna parte”. Solo così un barman può essere definito tale, e di conseguenza fidelizzare la clientela. Se un consumatore frequenta un bar solo per l’arredamento, c’è un problema.

KNOW YOUR PEERS – Da studiare inoltre la demografica del territorio e la tipologia di potenziali consumatori, secondo Samuele Ambrosi: “Un drink, una preparazione, anche un solo ingrediente potrebbero avere successo in un determinato luogo, ma essere considerati anacronistici in un altro. Ogni piazza è diversa, a volte anche all’interno della stessa città. Studiare e informarsi vuol dire anche questo, capire cosa ci succede attorno. Se investiamo migliaia di euro per un macchinario elaborato, ma poi la nostra clientela preferisce classici semplici, abbiamo fatto un grosso errore”.

O TI FORMI O TI FERMI – In definitiva, comunque, l’accento più marcato è posto sulla formazione, propria e di eventuale personale. Due autorità come Luca Casale della Campari Academy e Edoardo Nono del Rita di Milano, ne sanno ben più di qualcosa: “Se ad evolversi, per natura, è l’ambiente in cui lavoriamo, figurarsi quanto è importante adattarsi e anzi essere un passo avanti. Ci saranno mode, usi, influenze esterne che cambieranno il modo di consumare e bere. A noi il compito di essere sempre preparati, di non pensare mai di essere arrivati. E se abbiamo la fortuna di avere uno staff, far comprendere loro che formazione vuol dire premio, vuol dire sacrificio fatto per far crescere il singolo”.

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