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Gli analisti finanziari che si occupano di beverage si fanno una domanda: è finita l’era delle mega fusioni nel settore? Un articolo a firma di Ron Emler sulla testata specializzata The Drink Business tratteggia un quadro dello scenario, partendo dai rumors di una possibile fusione tra il gigante francese delle bevande Pernod Ricard e la distilleria statunitense Brown-Forman, per quella che potrebbe essere l’ultima grande operazione in ordine di tempo.

 

Una super operazione di M&A, la combinazione di Pernod Ricard e del distillatore statunitense Brown-Forman secondo il Financial Times sarebbe l’unica mega fusione potenziale rimasta del settore. Gli indizi sarebbero vari, a partire dal fatto che Alexandre Ricard, numero uno del gruppo francese, ha sempre affermato che la sua ambizione a lungo termine è quella di essere leader globale. Una fusione transatlantica lo metterebbe quasi sullo stesso piano di Diageo in termini di volumi e lo vedrebbe salire in maniera determinante negli Stati Uniti in termini di quota di mercato degli alcolici e redditività.

Secondo la ricerca HSBC, ci sarebbe poca sovrapposizione dei marchi se Pernod Ricard e Brown Forman si mettessero insieme, anche se più della metà dei primi 100 marchi spiriti del mondo sono di proprietà di Diageo, dello stesso Pernod Ricard e dei produttori cinesi Baijiu. Absolut di Pernod Ricard e Finlandia di Brown Forman sarebbero un attacco combinato alla gamma di vodka Smirnoff, Ketel One e Ciroc di Diageo negli Stati Uniti, ma difficilmente sarebbe un abbinamento anti-concorrenza. Una grande mossa sarebbe con Jack Daniel’s, il whisky del Tennessee più venduto al mondo (circa 17 milioni di casi all’anno), inserito in una rete di distribuzione globale, generando significativi risparmi sui costi, espandendo il portafoglio congiunto, soprattutto negli Stati Uniti, il mercato “must win” del gruppo francese.

 

Ma gli ostacoli da superare non sarebbero pochi, visto che entrambe le società Pernod Ricard e Brown Forman sono quotate, ma rimangono di fatto controllate dalle rispettive famiglie. I Ricard dominano Pernod Ricard attraverso la Paul Ricard Foundation e le loro partecipazioni familiari, mentre la struttura azionaria a due livelli di Brown Forman vede la famiglia Brown fondatrice un’influenza dominante nella direzione della società statunitense, quindi in questi casi non c’è nessun accordo senza un’intesa preliminare. Ci sarebbe poi il costo di una fusione, visto che gli azionisti chiedono sempre un premio per operazioni di questo tipo, nell’ordine di almeno il 20%. Insieme i due big valgono circa 66 miliardi di sterline in termini di capitalizzazione, Brown Forman ha un valore di mercato di circa 26 miliardi di sterline, mentre Pernod Ricard ha un prezzo sul mercato di poco inferiore ai 40 miliardi di sterline, contro i 75 miliardi di di Diageo.

Quindi se Pernod Ricard fosse il cacciatore, per la sua preda dovrebbe pagare un prezzo potenziale agli azionisti di Brown Forman da £ 31 miliardi, mentre a parti inverse il gruppo statunitense dovrebbe sborsare un prezzo di circa £ 48 miliardi. Il prezzo di offerta dovrebbe essere sufficientemente attraente da indurre gli azionisti ad accettare azioni della società appena fusa, pertanto l’importo che comporterebbe la realizzazione di una fusione rimarrebbe enorme. Con tassi di interesse bassi, la finanza si sta spostando sull’economia reale. Alcuni marchi periferici potrebbero essere venduti per ridurre il costo di un accordo, ma questo non ridurrebbe radicalmente l’eventuale onere di un’operazione, che quindi non potrebbe che essere strutturata come fusione concordata tra le famiglie di controllo rispetto a un’offerta pubblica di acquisto.

Capitolo poltrone, chi guiderebbe questo super colosso degli spirits? C’è un profondo attaccamento personale in entrambi i casi. Ricard è nipote del fondatore Paul Ricard, mentre il presidente di Brown Forman, Geo. Garvin Brown IV, è un discendente di quinta generazione del fondatore George Garvin Brown. Un ulteriore livello di complessità è che le istituzioni non amano le aziende con il controllo delle minoranze integrate nella struttura azionaria. Una o entrambe le famiglie sarebbero disposte a rinunciare al loro potere complessivo? Chi sarebbe disposto a cedere il controllo a Parigi o Lynchburg?

E i regolatori? Ci sarebbe poca sovrapposizione di marchi non competitivi in portafoglio, ma difficilmente i francesi sarebbero contenti di vedere un totem sciovinista come il cognac Martell passare sotto il controllo americano e allo stesso modo Washington cosa direbbe se “Gentleman Jack” diventasse un cittadino francese? C’è voglia da entrambe le parti, ma un matrimonio transatlantico come richiesto dal Financial Times non sarebbe del tutto impossibile, ma sarebbe complicato, costoso e ambiziosamente coraggioso.

+fonte The Drink Business

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