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In Cina le altissime accise sull’import del vino in bottiglia “pompano” il business del vino sfuso che viene poi imbottigliato in loco


«La Cina non è vicina al business del vino italiano e la Ferrari, da sola, non basta, nonostante le recenti vittorie sportive, a imporre la leadership del “made in Italy” nel Paese della Grande Muraglia. Lì, infatti, si stanno sviluppando marchingegni commerciali che rischiano di affossare l’enologia italiana». La denuncia di Franco Giaquinta, direttore di Confagricoltura Asti, arriva a pochi giorni dalla chiusura del Vinitaly, il salone enologico internazionale di Verona.  «Il fatto è – chiarisce Giaquinta – che per aggirare le altissime accise che le autorità cinesi hanno imposto sul vino in bottiglia straniero (oltre 250%) si stanno sviluppando società che acquistano vino sfuso italiano o di altri Paesi produttori, come Cile, Usa, Sud Africa e Australia, lo imbottigliano in Cina, aggirando in maniera consistente le accise che vengono abbattute di oltre l’80%, rivendendolo a prezzi fortemente concorrenziali rispetto ai prodotti già confezionati che arrivano dall’estero».



Le cifre che arrivano da Confagricoltura Asti sono impressionanti. I buyer con gli occhi a mandorla stanno chiedendo alle cantine italiane vini a 1,20 euro a bottiglia. Un prezzo insostenibile per i produttori italiani e piemontesi in particolare che, qualora accettassero le proposte, si vedrebbero costretti a lavorare in perdita. Ecco quindi aprirsi le porte all’importazione in Cina di vino sfuso che ha accise inferiori e consente ai cinesi, che lo imbottigliano in loco, ampi margini di guadagno, ma soprattutto di occupare spazi di mercato tra i piu importanti a livello mondiale.  «Trovare una soluzione in un mercato globalizzato non è facile – avverte Giaquinta -. Tuttavia – aggiunge –, in mancanza di una via di uscita che tagli la strada a questa concorrenza sleale messa in atto da Governo e operatori cinesi, l’Italia e la Ue dovrebbero, come contropartita, ipotizzare di gravare di accise i prodotti che arrivano dalla Cina, agroalimentare in prima fila, in modo di riequilibrare gli effetti negativi di una bilancia commerciale che pende un po’ troppo a favore dei cinesi. Siamo tutti felici – annota il direttore di Confagricoltura Asti – dei successi della Ferrari in campo sportivo e del fatto che la Cina sia il primo mercato della Casa del Cavallino, ma l’Italia è un paese la cui produzione industriale è articolata su vari fronti. Accontentarsi di difenderne uno a scapito di altri, altrettanto strategici, sarebbe un grave errore. Specialmente in un momento di recessione come quello che stiamo attraversando».

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