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Ci sono colline di confine in Piemonte in cui un’uva pura e d’animo quotidiano diventa una regina incontrastata. È il dolcetto. Protagonista delle tavole – certo – e delle famiglie locali, cosi come della storia. Lontano dalle Langhe e dai monti, in verdi e pianeggianti tunnel ariosi, spinti dal vento marin, superate le dune del Cortese, si arriva a Ovada, nome derivato forse da “Vada” o “Vadum”. Tappa obbligata delle legioni romane in cui l’uva è diventata un’ambasciatrice.

 

 

Le conferme delle origini della produzione del dolcetto, a conferma della sua tipicità, del suo legame con l’Alto Monferrato e di quell’esser speciale, oltre ai racconti orali e scritti di nobili penne che hanno promosso e tutelato il territorio, arrivano dall’ascolto dei riscontri degli orizzonti terrestri. Oggi, le vigne vecchie e l’arte della vinificazione rappresentano un grande orgoglio per gli ovadesi, in primis, e per chi ama la storia. Da scoprire, per lasciarsi stupire. Ovada spegne nel 2018 dieci candeline dall’ottenimento della Docg, che racchiude ben 22 comuni tra i quali non mancano quelli condivisi con il Gavi (Bosio, Capriata d’Orba e Parodi Ligure) e non distanti quelli che si sviluppano su colline con vista sulla confluenza dell’Orba e dello Stura (i due torrenti di Ovada), Cremolino, Rocca Grimalda e Tagliolo Monferrato.

Nelle cantine dei castelli le vecchie bottiglie, anche di trent’anni, sono in grado di impressionare anche i palati più esperti. Infatti già il Gallesio diceva che “i più stimati [dolcetti] sono quelli d’Ovada e dei suoi contorni…pare che il clima di quelle colline sia il più appropriato alla natura di quest’uva, mentre essa vi matura perfettamente senza che cadano gli acini, come avviene nei paesi meridionali e vi acquista un grado di perfezione a cui non giunge in verun altro luogo”.

E anche il grande Veronelli lo fotografava come “vino [il dolcetto a Ovada] che (a differenza del normale dolcetto che ama essere bevuto giovane) per le caratteristiche particolari del clima e la natura del terreno, gradisce un invecchiamento anche prolungato come altri più conosciuti vini del Piemonte”. Cosi come anche puntuale e territoriale è la descrizione del Soldati quando dice che “non ha veramente nulla [il dolcetto a Ovada] del dolcetto delle Langhe…lo si distingue da maggior profumo, maggiore gradazione, maggiore densità e una maggiore possibilità di invecchiamento”.

 

Foto di Giuseppe Martelli

 

Longevità, profumi marcati, toni accesi e un’incredibile polpa in bocca sono quindi i marker di quest’uva precoce che nasce in suoli marnosi, ripidi, ricchi tufo, argilla e calcare. A rendere tutto più poetico e competitivo c’è anche l’immancabile fiume come in ogni grande zona vinicola che si rispetti, arriva qui a formare le rive partendo da quella chiamata come la Riserva naturale speciale del Torrente Orba. Il paese di Ovada circondato ad anello ne resta totalmente coinvolto. Per tutte queste ragioni, il Consorzio di tutela dell’Ovada insieme a all’Associazione di Imprese Winexperience ha deciso di dar luce al progetto Ovada Incontra le Langhe, sabato 29 settembre dalle ore 16.30 presso Casa Wallace a Cremolino.

Una manifestazione divertente e gourmet con un taglio professionale soprattutto alla mattina quando in una speciale tavola rotonda si sono tracciati i profili di questo vitigno con una degustazione-confronto tra produttori, ristoratori e giornalisti. Esauriti gli assaggi, quello che stupisce è l’alta concentrazione di aziende biologiche, se paragonata al numero (poco più di 30) e alla superficie vitata (100 ettari circa) non tutta destinata al dolcetto ma anche a barbera, cortese, albarossa e qualche cultivar internazionale. L’atteggiamento al tannino è di assoluto rispetto, lo si lascia esprimere in tutta la sua forza, in giovane età, senza un eccessivo uso del legno. E poi c’è qualche cantina, lodevole, che attende oltre cinque anni prima di proporre al mercato i vini per esaltarne la materia e ascoltarne l’eleganza, maturate mediante una lunga sosta in vetro.

In linea generale nei primi anni di vita gli Ovada sono difficili da capire, le rigidità di tannini nervosi e dinamici trattengono e nascondono gli aromi, all’inizio più cupi e vegetali, di una polpa dolce fatta di bacche rosse, di ciliegia e prugna sciolte in percezioni più balsamiche e mentolate. L’acidità è netta, concentra la potenza dell’uva salvandola a lungo nel tempo rendendo cosi il Dolcetto di Ovada un vino “non previsto”, un incontro che ti spinge fuori gioco in grado di abbattere il pregiudizio nei suoi confronti. Disciplinare alla mano si trovano le versioni: “Dolcetto di Ovada Superiore” o “Ovada”, ”Riserva” a cui è possibile aggiungere della menzione “vigna”. Tra i 12 Ovada, precedentemente selezionati, dal 2016 al 2004, tre sono quelli che in linea temporale raccontano il percorso evolutivo del vitigno.

 

 

Ovada Riserva DOCG Forti del Vento 2015 – Ottotori: una scommessa della cantina vinta. Siamo su colline argillose e chiare, con marne affioranti e molto ripide, condotte in biodinamica. Riva sinistra. Ne risulta un vino di energia, fittissimo e sapido che si presenta con trama speziata e freschissima. La potenza tannica è fine ma tagliente. A meta palato raggiunge la finezza e l’equilibrio. Bello e impattante oggi non stancherà un secondo assaggio più avanti.

Ovada DOCG Losna 2012 – Rocco di Carpeneto: siamo con una delle ultime cantine nate in zona che in poco tempo ha saputo farsi strada. Molta strada. Le piante lavorate in regime bio sono di età compresa tra i 14 e i 44 anni di età in suoli a prevalenza di limo ed argilla a Carpeneto. Riva destra. Naso delicatamente profondo, con ritmi esplosivi che anticipano una grande performance in bocca. La peonia, il rabarbaro e cenni di bacche blu si fanno di incredibile densità. Ogni elemento è totalmente legato al suo nucleo. Il tannino fine e morbido lascia tracce più mentolate ma soprattutto sapide. Un vino coinvolgente e di grande prospettiva.

Ovada DOCG La Bocassa 2011 – Cascina La Signorina: sempre a Carpeneto ma in località Mardelloro in regime bio i terreni qui sono tufacei e con calcareo bianco. In produzione dal 1982 l’idea è da sempre quella di uscire dopo almeno sette anni di affinamento. Il risultato? Le durezze dei tannini son diventate velluto. Il palato è foderato dalla polpa, materica ed elegante. C’è un fiume fatto di succo di mirtilli e fiori che lascia la bocca sospesa. Un vino che non da cenni di interruzione e lascia all’uva palesarsi per quella che è.

 

Per maggiori info sul Consorzio di Tutela dell’Ovada e vini: ovada.eu

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