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Vent’anni di Triple A, era il 2003 quando il visionario patron di Velier Luca Gargano fondò la prima distribuzione al mondo a scommettere sui cosiddetti “vini naturali”. Agricoltori, Artigiani, Artigiani”, questo il claim delle Triple A, ingredienti necessari per produrre un grande vino. Per celebrare questa ricorrenza, abbiamo ripercorso la storia di Triple A con una super degustazione condotta a Milano da Pietro Fasola, entrato a far parte del team nel 2020 e autore delle schede dei produttori che hanno dato vita al libro tutto da leggere sulle Triple A.

“In questi anni Triple A ha rivoluzionato il mercato dei vini, ancora oggi in molti chiedono di associarsi a Triple A senza sapere che invece si tratta di una distribuzione, che non certifica nulla e non rilascia nessun bollino di qualità”. Una selezione pionieristica, un manifesto con precise regole produttive da rispettare, tra cui un approccio agricolo di tipo biologico, fermentazioni spontanee operate da lieviti indigeni, la completa esclusione di additivi ad eccezione dell’anidride solforosa e coadiuvanti nonché di tecniche di cantina invasive. Vent’anni dopo il catalogo conta più di cento produttori, con alcune delle realtà più qualitative e rappresentative dei terroir d’appartenenza, oltre all’apertura al mondo dei distillati realizzati dagli stessi produttori ed altre chicche.

Velier è stata tra le prime aziende a importare e distribuire in Italia i vini del Nuovo Mondo, provenienti da Argentina, Cile, California, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, ma a partire dagli anni ’80, questi vini comincino a somigliarsi tra loro, perdendo identità territoriale, varietale e della mano del produttore. Illuminato sulla via del Libano grazie a un incontro con Serge Hochar di Chateau Musar, Luca Gargano capisce che deve rompere gli schemi e soprattutto l’omologazione del gusto. “I lieviti sono lo sperma del vino”, questa una sua frase divenuta celebre per far capire quale sia la funzione dei lieviti, contro l’omologazione. La prima selezione comincia dalla Francia e dalla Slovenia, insieme a Luca Gargano, ci sono il fratello Paolo e Fabio Luglio, nel 2003 esce ufficialmente il primo catalogo Triple “A”. Tra i precursori del progetto ancora in distribuzione ci sono Domaine Huet, naturalmente Chateau Musar e Movia, di cui abbiamo assaggiato la bollicina Puro Bianco 2018, mentre nella sezione fondatori Guillemot Viré-Clessé 2021.

Luca Gargano

Una linea che inizialmente non doveva vedere gli italiani, per non aggiungere un ulteriore passaggio alla filiera del vino, in un primo momento i vini dei nostri produttori non sono contemplati nel progetto Triple “A”. Il successo commerciale nelle carte dei vini dei ristoranti, dove alcuni ristoratori mettono sotto il cappello delle Triple “A” anche etichette di produttori italiani non distribuiti da Velier che aumentano le vendite, apre nel 2004 le porte anche ai vignaioli italiani. Tra i primi ad essere inseriti c’è Cascina degli Ulivi, ben rappresentato dall’etichetta assaggiata a Milano nello spazio Velier Filagnotti 2007, un vino a base di Cortese che ancora porta la denominazione del Gavi. Una storia di viaggi e di riscoperte, come nel 2006 quando Luca Gargano decide di fare un viaggio nella culla della vite e del vino. In Georgia incontra il filologo Soliko Tsaishvili, erede con alcuni amici della vera tradizione vitivinicola georgiana, messa a rischio prima dall’Unione Sovietica e dalla nuova scuola enologica europea. Luca capisce di trovarsi di fronte a una delle ultimissime testimonianze storiche di una tradizione vitivinicola da non perdere, che racconta l’origine del vino stesso, quella della vinificazione nelle kvevri. Oltre a importare i vini in Italia, si promuove la nascita del Presidio Slow Food dedicato, nel 2008 Gargano diventa socio di Soliko con la fondazione di Our Wine, di cui abbiamo assaggiato la bottiglia Akhoebi 2010.

Un catalogo che si evolve e si amplia, ai fondatori e ai pionieri delle Triple “A” si affiancano sempre più produttori provenienti da tutta Europa. Nel mondo del vino molti vignaioli intraprendono percorsi di conversione all’agricoltura biologica e a vinificazioni meno interventiste, al cui fianco presto si affacciano le nuove generazioni di vignaioli con una sensibilità nuova e la voglia di rottura con il modello agricolo dominante. Nel libro vent’anni di Triple A si ripercorre bene questa storia, fatta di Avanguardia, rappresentato nella degustazione milanese dalla cantina Altura dell’isola del Giglio con Ansonaco 2022, la sezione fuoriclasse con la cantina trentina Foradori e la Nosiola 2014, quella dei progetti che arrivano dalla Grecia con la cantina Ariousios e l’etichetta Assyrtiko 2021, quella della nouvelle vague con lo Champagne Augustin con la Cuvée BdB Sans Soufre, sino arrivando alle nuove leve con Piero Carta e la sua Malvasia di Bosa Filet.

Un progetto sostenibile anche sotto il profilo del business, visto che dopo la fase iniziale in cui la leggenda narra del sostegno della linea degli spirits al progetto, oggi Triple A balla da sola e pesa circa il 10% del fatturato del Gruppo. Vent’anni dopo la nascita, mentre il vino naturale è diventato una fenomeno di moda con tante nuove distribuzioni, lo sviluppo futuro delle Triple “A” pone al centro del dibattito il ritorno alla policoltura, per un nuovo approccio agricolo, anche per limitare gli effetti del cambiamento climatico in atto e nella concezione dell’azienda agricola come organismo vivente a ciclo chiuso. Vietato pronunciare la parola “naturale” in casa Triple “A”, intanto ci si gode anche il bonus, con un Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe annata 2003, ormai diventato un produttore di culto, la sfinge del Montenpulciano classe ’32 che nella cantina di Torano Nuovo dice ancora l’ultima parola se un vino è buono o no.

INFO www.triplea.it

 

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