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Safari Experience. È un mood tutto africano, dalla drink list al look del team, il filo conduttore del nuovo Rhinoceros Bar firmato dal celebre bar manager Matteo Zed. Lo splendido rooftop della Fondazione Rhinoceros, il palazzo dell’arte di Alda Fendi nel cuore del Velabro promette agli ospiti di regalare vibes irresistibili nel segno del continente nero.

Rhinoceros Bar - Foto: Guido Fua' - Eikona
Rhinoceros Bar – Foto: Guido Fua’ – Eikona

Ho accettato una sfida in un luogo altamente stimolante – spiega Zed – siamo ubicati in una location incredibile che purtroppo non è ancora del tutto conosciuta nella Capitale. La vista a 360° sulla città Eterna che si gode da questa terrazza non ha eguali. Rooftop prospicienti sui tetti di Roma ce ne sono tanti, questo invece si affaccia proprio sulla città. Tutto questo progetto nasce da un viaggio straordinario che ho fatto in Madagascar qualche tempo fa. Lì ho conosciuto e sono stato letteralmente rapito da un bouquet di profumi e sapori inediti in qualsiasi altra latitudine. Con le debite proporzioni ho cercato di riprodurli al Rhinoceros utilizzando ingredienti locali ma so bene che è impossibile ricreare al 100% quelle atmosfere africane. Ho ideato dunque cocktail con datteri, avocado, con protagonista la vaniglia che è in assoluto la migliore al mondo. Abbiamo creato un concept visivo non solo con un allestimento floreale ma anche con le divise del team che ricordano quelle degli esploratori nei safari africani. La nostra vuole essere l’esperienza di un cocktail safari che gira nelle varie località africane, infatti ogni ramo del menu è ispirato ad una diversa tribù”.  Sono 15 i signature cocktails declinati in tre filoni ispirati ad altrettanti territori africani: Tanzania, Zimbabwe e Namibia.

La prima sezione  è riservata ai mocktails dove ermergono un rinfrescante “Lemon Grass e Cocco”, l’ “Eroico” con Bitter analcolico, caffè, anice e conviv rosso;  “Il Frutto del peccato” con spirito analcolico di agave, cordiale di mela e soda al pepe e pomelo; “Desert Colada” con cordiale di ananas e dattero e uno “Champagne clover club” con fake champagne e un gin zenza alcool. Spazio poi nel secondo segmento a cocktail dai profumi inebrianti quali il “Greener” con agave, tequila, mezcal, liquore di fiori di sambuco ed edamame; il “Purple Sea” che ripropone le sfumature del mare africano al tramonto con Champagne Rosé e tinture violacee di erbe locali, il “Chocobananaroni” con vodka al cioccolato, vermouth alla banana, bitter classico e bitter al cioccolato e il “Formidabile” con Amaro Formidabile, Lime, Carciofo, Tonica Rovere San Pellegrino.

I drink si ispirano ai frutti, alle erbe e alle botaniche africane che trovano però nelle tecnologie avanzate e nelle preparazioni moderne una via di contemporanea bevibilità. Una filosofia condivisa nell’ultimo gruppo riservato ai cocktail in coppetta, stile Martini. Si va dal Golden Mai Tai per gli amanti del rum ad un omaggio alla zona della Namibia con “Capers Dirty Martini” a base di gin ed estratto di cappero verde, passando per l’“Avocado Daiquiri” con purè di avocado e sciroppo di agave. Esuberante “Che Figo!”, con infusione di foglie di fico, cocchi americano, succo di lime e vaniglia.

Foto: Guido Fua’ – Eikona

A completare la proposta del Rhinoceros Bar le idee gastronomiche del resident chef Alessandro Marata con la supervisione dello chef Giuseppe Di Iorio, executive del ristorante Aroma 1 stella Michelin anch’esso del gruppo Manfredi Fine Hotels Collection.  Con Matteo Zed inoltre si è approfondito lo stato dell’arte del comparto della mixology: “Per quanto riguarda i trend che ci attendono nel 2024 sono certo che si svilupperanno in maniera approfondita quelli della stagione in corso. Si sta un pò sgonfiando il fenomeno del gin che a tutti gli effetti è diventato molto comune, mentre sta crescendo il segmento legato all’agave.  Tequila e mezcal sono davvero in grande ascesa. E poi vorrei soffermarmi sull’amaro che ormai è riconosciuto protagonista a livello internazionale. Se dovessi scrivere oggi il libro sull’amaro non potrei più limitarmi a quello italiano, ma dovrei affrontare le produzioni di ogni singola nazione. Abbiamo alimentato questa cultura in ogni angolo del mondo. Negli USA, in Canada e in Brasile si realizzano bottiglie che non hanno niente da invidiare a quelle italiane.  L’amaro in patria invece lo si dà per scontato ma non c’è di fondo la cultura giusta. Negli Stati Uniti viceversa c’è passione, voglia di godersi questo prodotto straordinario. In Italia nell’ultimo periodo a livello di consumi c’è stata una crescita di questo segmento, ormai tutti i bar hanno un cocktail con un amaro. Un altro trend a marciare  in maniera decisa è quello rappresentato dagli spirits cinesi. Sicuramente avranno successo anche alle nostre latitudini”.

Naturalmente l’evoluzione dei trend, segue di pari passo quella del cliente.

“Rispetto a dieci anni fa – continua Zed – il consumatore ora è molto più informato,  anche i giovani conoscono i prodotti e li richiedono. Una volta da noi si faceva tutto per combattere lo spritz mentre in America è un prodotto cool simbolo dell’italianità. Le mode si susseguono, ma la qualità rimane. Noto con grande soddisfazione che il pubblico si lascia oggi maggiormente guidare ed accompagnare nelle degustazioni e nelle scelte. La professionalità è riconosciuta. Altro elemento poi che vedo affermarsi  con prepotenza è sicuramente l’ascesa dei cocktail analcolici e a bassa gradazione alcolica, i  mocktails. Noi li lavoriamo con tecnologie avanzate, rotovapor, centrifughe veloci. Orma il lavoro si fa dietro non più davanti. Una volta c’era il bartender che a vista sciorinava movimenti particolari ed avvolgenti oggi si fa tutto alle spalle. La tecnologia della cucina ha aiutato tantissimo, usata negli ospedali. Noi dopo un pioniere come Heinz Beck ci siamo arrivati. A una tavola rotonda dove partecipavo come relatore che sottolineavano come si fosse perduta la poesia del barman io rispondevo che oggi il cocktail deve essere minimal, le guarnizioni ora sono assolutamente ridicole. Tutto superato. La differenza tra il cliente italiano e quello americano consiste nel fatto che quest’ultimo ha una grande consapevolezza, sa esattamente cosa vuole bere e quale brand scegliere. L’italiano deve ancora arrivarci, forse solo sul gin e su qualche amaro ha le idee estremamente chiare. L’europeo invece è leggermente più avanzato, ma parlo di londinesi o tedeschi. Comunque a mio giudizio ormai i nostri bar sono sullo stesso livello di Londra”.  E per concludere una riflessione su alcuni spirits: “Il rum in Italia è in forte calo perché diciamolo pure è il tratto ditintivo del businessman anni’80, fumatore di sigari. Da quegli anni è un po’ cambiata la gente. Non c’è nessuno più pazzo per il rum. Il cognac è morto, tutto gli spirit d’uva sono in forte declino, così come la grappa. Gli spirit cinesi diciamo che recuperano questo mood ma in forma più evoluta”.

Foto: Guido Fua’ – Eikona

+info: www.manfredihotels.com/rhinoceros-rooftop/

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