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Miscelazione vuol dire gusto, tecnica, troppe volte moda. Ma significa cultura e studio, con la enorme mole di informazioni e storie che ogni cocktail contiene, frutto di leggende e aneddoti tramandati. Divulgare e insegnare è responsabilità di chi dietro al banco vive e lavora, ed è con questa idea che nasce il Cocktail Lab di The Spirit Milano: il bar manager Carlo Simbula, insieme alla sua spalla Ivan Francesco Filippelli, descrive i classici del bere internazionale e ne spiega i metodi di realizzazione. Bere responsabile si traduce, finalmente, in bere consapevole di quanto ogni drink abbia un valore culturale profondo.

MARTINI – Un sorso per assaggiarlo, uno per abituarsi al tono deciso e goderselo, un ultimo per finirlo. La leggenda del Martini si sviluppa in tre attimi, quanti ne bastano per recepire l’essenza di un drink eterno e celebre, nato da mente italiana e rivisitato negli anni anche grazie alla fama scaturita da storie hollywoodiane e racconti di grido. Un bartender ligure emigrato negli USA decise di darsi Martini come nome d’arte, e battezzare così la sua creazione quando John D. Rockefeller gli chiese lumi su cosa avesse appena assaggiato. “Agitato, non mescolato” era il formato preferito da James Bond, che però richiedeva una variante che prevedesse vodka e Kina Lillet (oggi fuori commercio e sostituito generalmente dal Lillet Blanc); la lista IBA lo denomina Vesper Martini, intitolato dalla penna di Ian Fleming alla mitica Vesper Lynd, grande amore dell’agente britannico. La ricetta originale del Martini si compone invece di due soli ingredienti: una generosa porzione di gin, e un tocco di Vermouth che ne aromatizzi la struttura, da comporre nel mixing glass prima di filtrarlo nella leggendaria coppetta; a seconda della tipologia di Vermouth il Martini si definisce Dry, Sweet o Perfect. Il vezzo finale, che in realtà aggiunge sapidità, è l’oliva, tratto distintivo di un’icona immortale.

Martini – The Spirit Cocktail Lab

DAIQUIRI – “Il mio Daiquiri alla Floridita, il mio Mojito alla Bodeguita”. Era il mantra di Ernest Hemingway, il cui anniversario di morte cade agli inizi di luglio. Lo scrittore statunitense era solito dividere così le sue notti cubane, prima, durante e dopo la stesura di uno dei suoi immensi capolavori, Il vecchio e il mare: tanto appassionato di Daiquiri da dare il nome a una variante, che prevede liquore al maraschino e succo di pompelmo. Radici in qualche modo italiane anche per questo drink sour: l’ingegnere minerario Pagliuchi, in visita al collega Cox, si confrontavano su progetti e lavori da svolgere a Cuba. Al termine di una giornata di consultazioni c’era da bere qualcosa, e il buon Cox ricorse alle uniche materie a disposizione: rum bianco, zucchero e lime. “Come la chiamiamo questa bevanda?”, idee poche e confuse, si decise per la regione in cui erano a lavorare: Daiquiri, per l’appunto. Al The Spirit si propone una variante senza sciroppo preparato: lime e zucchero da mischiare nello shaker, per poi aggiungere il rum e il ghiaccio e iniziare la mescolata energica. Freschissimo e perfetto per pensieri d’altri tempi.

MANHATTAN – New York, New York. La Grande Mela, ma quella del 19esimo secolo, forse prima, splendidamente ricreata in Gangs of New York da Martin Scorsese, con un sontuoso Daniel Day Lewis poi premiato con l’Oscar. È al Manhattan Club che nasce uno dei drink più famosi a base whisky, creato per festeggiare una vittoria politica di enorme rilievo. Rye americano in maggioranza, vermouth e due gocce di angostura, per quanto come racconta Simbula, “l’angostura non è mai abbastanza”: tecnica stir and strain, e perché no una ciliegia al maraschino. Caldo e speziato, perfetto come aperitivo ma facilmente godibile anche come after dinner fino a tardi. Più d’uno, chiaramente.

Manhattan – The Spirit Cocktail Lab

BLOODY MARY – Fate poco gli innocenti. Chiunque abbia avuto almeno una notte di bagordi, avrà poi sentito parlare del rimedio all’hangover per eccellenza. Una miscela spessa e piccante, adatta a ritirarvi su e ricordarvi che magari non avete più il fisico. Funziona, altroché, ma non è certo l’unico momento in cui godervi un Bloody Mary perfetto: le spezie coinvolte sono stuzzicanti come preludio a una cena o qualcosa di sostanzioso da mangiare, ancora meglio se bevuto come accompagnamento di un brunch. In origine chiamato Red Snapper, fu poi Fernand Petiot del St. Regis Hotel ad aggiungerci sale, pepe, tabasco e salsa Worchestershire, rendendo la ricetta quella che si conosce oggi. La tecnica di costruzione è quella che “più di tutte piace ai bartender, perché c’è parecchio da mettersi in mostra”, scherzano i ragazzi di The Spirit. Il throwing, con il quale il composto viene letteralmente lanciato da una metà all’altra dello shaker, per permettere alle molecole alcoliche di respirare e amalgamarsi. Il sedano con cui si guarnisce il bicchiere è la griffe. Quella che vi ricorderà che la prossima volta vi conviene alzare il gomito un po’ meno.

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