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Acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito sono i “fantastici quattro”, gli ingredienti che danno vita a ogni birra che si rispetti. Alcuni mastri birrai, però, sottolineano l’importanza del tempo attribuendogli addirittura il ruolo di “quinto ingrediente”.

 

 

Come in ogni attività lavorativa, anche nella produzione della birra il tempo è una variabile fondamentale. C’è che fa di tutto per ridurlo al minimo, ci sono invece birrai e birrifici che vedono il tempo come un prezioso e fondamentale alleato.

Alcuni di essi, tra cui il Birrificio Antoniano di Padova, si sono riuniti nell’associazione Slow Brewing, che monitora e certifica il ricorso a metodi produttivi classici e il rispetto, appunto, dei tempi naturali di produzione. Il sigillo di garanzia rilasciato da Slow Brewing testimonia che ci troviamo di fronte a birre prodotte in maniera tradizionale.

Perché, ricordiamocelo sempre, la birra è a tutti gli effetti un prodotto “vivo”, i cui componenti rispondono alle leggi della natura. Chi decide di fare birra in maniera tradizionale non può assolutamente prescindere da questa considerazione. Anzi, spesso e volentieri questa “filosofia produttiva” porta i birrai a voler sperimentare i frutti del tempo, lasciando le proprie birre a maturare a lungo, magari in botti di legno.

 

 

Emblematico il caso della Thomas Hardy’s Ale: per la sua versione “The Historical”, affinata in botti ogni anno diverse, può trascorrere anche un anno dall’inizio della produzione al rilascio sul mercato. Di fronte a specialità di questo tipo, anche al consumatore finale viene chiesto un “investimento temporale”: birre tanto ricche e strutturate meritano senza ombra di dubbio di riposare in cantina per qualche lustro, lasciando che aromi e sapori evolvano lentamente all’interno della bottiglia. Un discorso analogo potremmo farlo anche per qualche specialità belga, su tutte la Quadrupel trappista Rochefort 10°.

Ma quella dell’invecchiamento in cantina è una prassi che vale per ogni birra? Assolutamente no. Ci sono al contrario degli stili che prediligono un consumo fresco del prodotto: su tutti Pils e American IPA, visto che le componenti aromatiche del luppolo sono particolarmente volatili. Tanto che una delle più recenti innovazioni della californiana Sierra Nevada è quella di distillarne una sorta di olio essenziale direttamente sul campo del raccolto, cercando di massimizzarne la resa aromatica trasferita nella birra; a beneficiare di questo procedimento è Hop Hunter IPA, un vero e proprio “concentrato di luppolo”.

 

 

Il legame tra questo ingrediente e il tempo si manifesta anche durante la cotta: ogni ricetta differisce infatti non solo tipologia e quantità di luppoli da utilizzare, ma anche il momento esatto in cui questi vanno inseriti in bollitura. Lo stesso luppolo utilizzato all’inizio o alla fine della cotta darà un risultato diverso, donando quasi esclusivamente amaro nel primo caso o principalmente componenti aromatiche nel secondo. Ecco perché negli ultimi anni è (ri)esplosa la pratica del dry hopping, la luppolatura a freddo, capace di regalare alla birra intensi profumi senza apportare incrementi in termini di amarezza.

Il tempo si rivela, quindi, una variabile da tenere in considerazione in quasi tutti gli aspetti legati alla birra, almeno per quei birrifici che portano avanti metodi tradizionali.

 

Per maggiori informazioni: www.interbrau.it/birra-per-passione

Scheda e news:
Interbrau SpA

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