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C’è un triangolo di qualità, nel Nord Est italiano, dove il territorio si fa tesoro inestimabile per vini di valore. Collina, pianura e lago sono i tre fili d’oro che portano alla produzione di Monte Zovo, cantina storicamente votata alla ricerca, che ha da poco rivelato un nuovo progetto di nicchia.

Centoquaranta ettari (per 1,2 milioni di bottiglie l’anno) divisi tra i Monti Lessini, a Nord di Verona, in collina tra 400 e 600m, per il Valpolicella: poi a sud del Lago di Garda per il Lugana, e a Caprino Veronese, abbracciato da Pianura Padana e Monte Baldo. Tre ambienti per tre anime. È la formula per etichette di pregio, che pur generando volume importante, già mirano al  guardare in chiave di sostenibilità: non solo coltivazioni biologiche, ma anche impianto di boschi, riutilizzo dei residui di potatura per alimentare le caldaie, installazione di pannelli solari.

Monte Zovo è una gita fuori porta che potrebbe non finire mai, come racconta Sissi Baratella mentre guida la degustazione tenuta al ristorante Lamo di Milano. Si parte dal Lago di Garda, sponda veronese: la più grande massa d’acqua dolce d’Italia, fondamentale per il prodotto. Di fronte c’è la sponda bresciana, e a sud si incontrano le due province e le due regioni, nel punto in sui vive il Lugana DOC. A nord invece il lago si restringe e vira verso Riva, il Veneto incontra il Trentino: qui si incanala l’Ora del Garda, vento essenziale per lo sport e la viticoltura di montagna. Sono suoli di origine morenica, e a girare in tondo si passa da una zona lacustre, con gli olivi che danno la cultivar DOP del Lago di Garda, a una zona montana, che vibra di malga e pascoli.

Famiglia Cottini

Nel crocevia di questa rete di bellezza, ricchezza e natura si sviluppa il pensiero di Diego Cottini e della sua famiglia, ideatori di Monte Zovo, che sorge là nel 1965, costruita dal padre Raffaello (la famiglia è nella produzione di vino dal ’25): una cantina (bio)dinamica, protagonista indiscussa delle denominazioni DOC della zona, legata al luogo e ai sogni. Altitudini improbabili e vinificazioni fuori stagione, Monte Zovo ha presentato l’ultimo, lungimirante progetto: i vini single vineyards, cinque cru di vigneti determinati e a quantità ridotta. Una selezione di cinque prodotti che esprimesse il massimo della qualità della tenuta di Caprino Veronese: cinque proposte identitarie e riconoscibili, che a fronte di un carattere distintivo presentano elementi di internazionalità fresca. Un dualismo di territoriale e contaminato, frutto della dedizione di Cottini alla ricerca e alla sperimentazione.

I VINI

Wohlgemut 2019 – Dal nome di un vecchio forte rinvenuto nella zona, un Pinot Grigio delle Venezie DOC coltivato a 250msl. Territorio morenico, ciottolo, sasso, limo, che genera verticalità interessanti con il 50% fermentazione in barrique. “L’internazionalità è intrinseca nel vitigno, il Pinot Grigio è il bianco italiano più bevuto al mondo”. Naso e sorso vanno di pari passo, frutta gialla e bianca, palato acido e agrumato.

Phasianus 2019 – Un omaggio alla biodiversità, è il nome latino del fagiano, specie ben presente in zona. Corvina Rosato Verona IGT, con uve Corvino e Corvinone vinificate in bianco. “È il colore a dimostrarsi perfetto per incontrare anche i gusti esteri, il rosè che richiama i tramonti, le tonalità tipiche di certi nostri paesaggi”. Naso ricco di pesca e fiori, beva gradevole e senza pensieri, che è sempre bene.

Oltremonte 2020 – Sauvignon Blanc Verona IGT coltivato addirittura a 900msl, su terreno roccioso, calcareo. Semiaromatico piacevole, si delineano vegetalità e tropicalità al naso, gusto pulito, gentile.

Crocevento 2017 – Pinot Nero Garda DOC che prende il nome dal crocevia d’aria, appunto, che si forma alle altitudini dove il vigneto vive (850-900msl). Fermentazione in acciaio e diciotto mesi di barrique, per un prodotto rassicurante e pieno.

Calinverno 2017 – Blend di Croatina, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Corvino e Corvinone. Inno alla Calinverna, la brina che si forma sulle viti durante la vinificazione, che avviene anacronisticamente in dicembre. “È l’espressione massima della territorialità, una sfida contro il raccolto sicuro, che dimostra la nostra audacia e la nostra lungimiranza. Un’idea di venticinque anni fa, volevo fare un vino corposo, completo”. E ce l’ha fatta eccome.

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