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In questi mesi abbiamo sentito ripetere come un ritornello da più parti l’impatto del Covid-19 sul settore horeca, un microcosmo fatto di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi. Una filiera che ricade a sua volta sul segmento agroalimentare made in Italy, con una quota di vino e cibi invenduti per un valore stimato in 11,5 miliardi dall’inizio della pandemia. Un quadro davvero cupo tratteggiato da uno studio della Coldiretti sull’impatto sulla filiera agroalimentare delle chiusure a singhiozzo della ristorazione a un anno dall’inizio della pandemia Covid, in occasione del Consiglio nazionale con la partecipazione del Ministro delle politiche Agricole Stefano Patuanelli.

 

Un bilancio con una stima di 300 milioni di chili di carne bovina, 250 milioni di chili di pesce e frutti di mare e circa 200 milioni di bottiglie di vino, secondo quanto riportato dalla Coldiretti, mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un forzato fermo ai box senza alcuna possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri drammatici dietro i quali ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori.

“Anche alla luce dell’avanzare della campagna di vaccinazione sarebbe importante consentire le aperture serali che valgono quasi l’80% del fatturato dei locali della ristorazione” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare peraltro che “con l’arrivo del bel tempo le chiusure favoriscono paradossalmente gli assembramenti all’aperto sulle strade, nelle piazze e sul lungomare. Nei locali della ristorazione sono state invece adottate importanti misure di sicurezza, quali il distanziamento dei posti a sedere facilmente verificabile, il numero strettamente limitato e controllabile di accessi, la registrazione dei nominativi di ogni singolo cliente ammesso”.

Ettore Prandini

Un mix di fattori, tra chiusure, limitazioni negli orari di apertura, blocco degli spostamenti, drastico calo delle presenze turistiche e la diffusione capillare dello smart working, con un impatto devastante sui servizi di ristorazione e un calo dei livelli occupazionali con conseguenze fisiologiche anche sui fornitori.  Una riduzione dell’attività che ricade sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione, si tratta del principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma dal vino ai salumi, dai formaggi fino ai tartufi.

Ristorazione che coinvolge circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella Penisola ma le difficoltà si trasferiscono a cascata sulle 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. Bisogna difendere la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare nazionale che vale 538 miliardi pari al 25% del Pil nazionale ma è anche una realtà da primato per qualità, sicurezza e varietà a livello internazionale.

INFO www.coldiretti.it

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