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Potrebbe andare peggio, come si rideva per un vecchio e bellissimo film. Ma adesso è dura capire come: a partire da oggi, l’Unione Europea applicherà nuove tariffe su rum, vodka, brandy e vermouth provenienti dagli Stati Uniti, come risposta alle misure adottate da Washington lo scorso ottobre. È l’ultima spallata al settore del beverage, che sta già soffrendo enormemente per questioni logistiche e ovviamente per gli strascichi della pandemia: con il successo di Biden, l’Europa ha già riaperto la porta per nuove trattative, ma al momento la situazione è durissima.

I produttori di alcolici da entrambi i lati dell’Oceano si sono trovati coinvolti nel ginepraio di scontri che Stati Uniti e Europa fronteggiano insieme ai rispettivi costruttori di velivoli (Beoing e Airbus), per quanto riguarda i sussidi a loro destinati, da ormai quindici anni: ciascuno dei due colossi lamenta aiuti eccessivi al concorrente da parte del continente avversario. L’Organizzazione del Mercato Mondiale (World Trade Organization, WTO) ha quindi concesso a entrambe le parti di stabilire dazi come contromisure, e a farne le spese sono le aziende di vino e distillati.

A fine 2019 gli Stati Uniti avevano fissato tariffe sui prodotti europei: da allora, l’import statunitense di Scotch Whisky è precipitato del 34%, per un valore di 481 milioni di dollari. I vini da Francia, Spagna, Germania e Inghilterra addirittura calati del 54%. A partire dal 2008, invece, in seguito a misure inverse adottate dall’Unione sull’import a stelle e strisce, il whiskey americano ha visto ridurre i propri viaggi verso il Vecchio Continente del 41% (300 milioni di dollari). Per questo motivo, una coalizione di venti associazioni relative agli alcolici ha deciso di unire le voci per chiedere una tregua a questo “scambio di malvolute imposizioni” che rischiano di danneggiare ulteriormente un mercato invece quanto mai florido.

I portavoce della coalizione sono ben chiari nelle loro esternazioni: “Il business dell’hospitality, i clienti, i produttori, gli importatori, i negozianti di distillati, vini e birra, si vedono sballottati da ogni lato, in una disputa legata alle compagnie aeree che nulla ha a che fare con il mercato delle bevande”. Il tutto va ad aggiungersi alle chiusure e alle limitazioni imposte dalla pandemia globale di COVID-19. A ottobre 2019 gli Stati Uniti avevano firmato per una tassa del 25% sulle importazioni di whisky scozzese, whiskey irlandese, liquori e cordiali da Germania, Italia, Spagna e Inghilterra, e un importante numero di vini dagli stessi paesi.

“Queste misure hanno comportato cali spaventosi nel movimento di beni”, racconta la coalizione. “Siamo vicini al 50% in meno di import, e lo stesso vale a parti invertite, da quando l’Europa ha iniziato a tassare pesantemente il Bourbon come risposta ai dazi sull’acciaio”. Stando alle associazioni, ulteriori misure aumenterebbero il numero di attività che non potranno sostenere le spese, facendo quindi perdere lavoro a una nuova ondata di dipendenti, già messi a dura prova dal Coronavirus. “Stati Uniti e Europa devono tornare al tavolo di negoziazione immediatamente: devono sospendere queste imposizioni e trovare un accordo per evitare che un settore già esausto sia coinvolto in dispute nelle quali non c’entra nulla”. 

 

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