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Diano d’Alba porta nel suo nome un luogo, e quello di un un vino non banale: è quel dolcetto che richiama un momento specifico della giornata, una tradizione. Sta a chi lo conosce, e che lo vuole condividere, scegliere il momento giusto: se abbinarlo agli antipasti piemontesi o all’ora della cosiddetta merenda sinoira.

Oggi è, e continua ad essere, parte del percorso vitivinicolo del Piemonte. È un’icona di un movimento d’avanguardia, purtroppo oggi offuscato. O dimenticato? No di certo da chi è parte attiva della causa, essendo parte vivente della produzione, anche nell’epoca moderna, dove la velocità sembra avere una sorta di potere: quello di offuscare il passato e i valori di un lavoro protratto in colline cha appaiano – a chi è capace di osservare – predestinate. Luoghi come sposati al vitigno. Non a caso quella del Diano è una denominazione in cui troviamo 76 Söri, clivi che raggiungono anche i 500 metri s.l.m, i cui confini sono stati circoscritti e mappati ancora prima delle MeGa (oggi UGA), del Barolo, nel 2010. Tutto ritorna nel concetto dell’armonia: è un equilibrio tra i parametri, legati alla bellezza, che qui diventano un simbolo evocativo a cui non ci si può sottrarre. Fanno riflettere le parole del Presidente dell’Enoteca di Diano d’Alba, Renzo Castella, quando dichiara di lavorare, speranzoso, per continuare la produzione di questo dolcetto: vino custode di storia e fonte di reddito, in passato, ma soprattutto parte del tessuto sociale delle Langhe. Ma in questo mercato cambiato, trasformato, dove gli occhi dei player sono tutti puntati agli autoctoni ed al nebbiolo – lo sappiamo – non bisogna dimenticare che i produttori di Diano, oltre ai loro Söri, sono stati pionieri di una comunicazione rivoluzionaria e dinamica con l’inserimento dei nomi dei vigneti in etichetta, insieme a quello dell’azienda. E il tutto fù presentato, già nel 1963, alla prima Esposizione del Dolcetto di Diano. Con i vini ad essere lo specchio di queste colline soleggiate, geometrie in sintonia con il clima, custodi di segreti che regalano un particolare gusto, una finezza e una precisione tannica che si riconosce sensibilmente dagli altri vini Docg regionali, sempre a base di uva dolcetto, ossia Dogliani e Ovada. E nell’anno di quest’uva, in Piemonte, non ci poteva essere occasione migliore se non un sano confronto tra enti di promozione, autorità, giornalisti e produttori durante l’annuale passeggiata gourmet “di Söri in Söri”, tra le cantine di Diano. Il dibattito è sì aperto, e come sospeso. Come raccontarlo? Come far capire ai consumatori una eventuale decisione di alzare i prezzi – per coprire gli alti costi produttivi del vino – che porterebbe con sé anche un messaggio qualitativo? Con l’esperienza diretta, con i confronti – come spesso accade – si possono accettare i cambiamenti: alle prime ore del mattino, in questa stagione autunnale, contraddistinta da un foliage particolare (giallo oro, rosso mattone con contorni più bruni e ombrosi dei boschi) si riescono a cogliere, nella foschia che si inserisce nei filari e ti proietta nel cielo grigio, il perché dell’esigenza e presenza di questi Söri (toponimi legati a una storia di una famiglia o tramandati da una tradizione orale). Perché si vedono! E chi guarda, impara, e comprende. Poi c’è chi vede, lontano, e crea soluzioni.

Come quel Diano visionario, che può tornare ad esser tale, soprattutto se le nuove generazioni – c’è chi ci crede – decidono di ritornare, forti del loro passato, a raccontare le loro storie, senza timore. I mercati sono volubili e ciclici, ed è tempo di pensare a un racconto proiettato al futuro basato sulla sostanza attuale, come quello che è, in realtà, il Diano: un vino trasversale, fine, piacevole, comprensibile, capace di evolvere per qualche anno e che ben ti accompagna a tutto pasto. Insomma un vino che mette tutti d’accordo.
E se è vero che la percezione del vino nasce già nel nome, allora si deve lavorare nella sua essenza e nelle persone che la animano. Era il 27 settembre del 1986 quando venne esposto all’albo pretorio la mappa di queste aree vocate del Comune di Diano d’Alba per attribuire le zone più adatte alla viticoltura per suolo, esposizione e microclima da assaggiare alla Cantina Comunale dei Sorì che vanta oltre quaranta soci, vinificatori. Oggi tocca alle nuove generazioni ripartire, ripercorrendo la storia di famiglia, per spiegare il valore delle scelte prese in passato con vini espressivi, che probabilmente diventeranno “di nicchia”, ma che certamente saranno accolti come chicche golose e tipiche delle Langhe.

 

I nostri migliori assaggi:

Claudio Alario – Söri Costa Fiore 2018

Le vigne ultra cinquantenni le cui rese si aggirano intorno ai 60 quintali, nelle mani di Alario ci regalano una timbrica molto personale. Come un’infatuazione in cui percepire tutta la confidenza con l’uva e con il suo carattere. Palesata in tannini sferoidali, salati, di potenza da leggere nella stilistica più che nella loro percezione organizzata. È un’interpretazione cosciente che si coglie al momento dell’assaggio e che non passa inosservata. Uno di quei sorsi che si inseriscono nella memoria per solidità di polpa, materica, sempre intensa e in equilibrio. Capace di crescere con sensazioni speziate per spingerti a un livello superiore, più complesso, che entra nel palato. Impossibile da dimenticare la profusione di aromi di queste bacche dolci non dolci, avvolgenti che invogliano, con sonora consapevolezza, a chiedere un ulteriore assaggio.

 

Angelo Colla – Söri Cascina Rabino Sottano 2018

Collina di 9 ettari esposta a sud-est a 340 metri s.l.m. Qui, il vino di punta dell’azienda, non smentisce la sua classificazione di Söri. Concentrato, amabile per la sua continua voglia, sussurrante, di esprimere la finezza e la sincerità produttiva. Gola placata da un’ondata di frutti e tannini perfettamente inseriti al succo a disegnarne i contorni, mai mordenti, traguardo di una sinergia tra le logiche del suo corpo.

 

Renzo Castella – Söri della Rivolta 2018

Azienda familiare sorta agli inizi del 1900 dove dei 10 ettari, il 60% è destinato al dolcetto. In questo Söri c’è l’anima di chi lo produce: più cupo, silenzioso, appena versato, come si ambienta si percepisce la sua energia come in un “corpo a corpo”: carico e intenso, richiede un boccone di vitello tonnato o battuta

 

Cortino – Söri Santa Lucia Superiore 2017

Tra le più dinamiche, con ben 6 etichette destinate al dolcetto i tre soci da questo söri tufaceo e marnoso ci regalano una versione pacata, pulita, con un velo tannico da ricordare una spolverata di zucchero a velo per questo suo esser semplicemente soffice.

 

Paolo Olivero Il Palazzotto – Söri Santa Lucia 2018

Rivela sapienza per la lavorazione delle vigne vecchie nei 5 ettari di proprietà nella collina. C’è come un tratteggio più tannico che nasconde una bella lunghezza, per un’esperienza gustativa confermata in un succo morbido, maturo, irrigidito da tannini ancora tutti da placarsi. Tra i sorsi più energizzanti per piglio e carattere.

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