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Tre compleanni, per celebrare tre anniversari che raccontano di secoli di storia e tradizione. Il Vermut di Torino (ma si può dire anche Vermouth, alla francese, altra patria del celeberrimo vino aromatizzato) torna ancora una volta in passerella, con la Grande Degustazione tenutasi a Palazzo Parigi di Milano lo scorso  16 giugno.

“Trecento anni fa nasceva il vermouth come lo conosciamo oggi”, racconta Pierstefano Berta, vicepresidente e direttore del Consorzio del Vermouth. I liquoristi torinesi del ‘700, già famosi ovunque per essere stati tra i primi europei ad addomesticare la distillazione, riportano in auge un prodotto vecchio come il mondo: all’ottavo secolo, addirittura, risale la prima testimonianza della parola wermut, espressione tedesca che dà origine al nome del vino aromatizzato e che significa artemisia, la botanica principale del vermouth. Arnaldo de Villanova ne parla poi nel suo De Vinis (tredicesimo secolo. Agli stessi liquoristi piemontesi si deve poi il passaggio del vermouth da rimedio medicinale a veicolo di convivialità, bevanda da aperitivo, strumento di tempo ben trascorso: era utilizzato come stimolante al mattino, al posto del caffè, e soprattutto assurge al ruolo di bevanda democratica, perché liberamente consumabile da qualsiasi ceto o sesso.

La corte dei Savoia è di fatto il palcoscenico su cui il vermouth muove i suoi passi più apprezzati, sostenuto da studio e ricerca: Torino aveva addirittura una Università di Confettieri e Liquoristi, custodi del sapere e delle tecniche che si affineranno senza sosta, fino al 1833. La svolta pubblicitaria e territoriale, con l’apparizione del “vero vino balsamico detto Vermut di Torino”, una primordiale certificazione geografica destinata però a scolpire la superiore qualità del prodotto nelle menti dei consumatori. Il Vermouth esplode dalla metà dell’Ottocento: nel 1851 viene inaugurata la tratta ferroviaria che da Torino porta a Genova, porto di caratura mondiale, che favorisce quindi lo scambio commerciale con l’Europa prima e con il Nuovo Mondo poi, spinto dalla folta colonia di italiani in Sud America e dalla rampante cocktail culture degli Stati Uniti, della quale il vermouth sarebbe poi divenuto immortale protagonista.

Trent’anni fa (ed è questo il secondo anniversario), l’Europa sancì poi un positivo terremoto per il vermouth: il  Regolamento CE n. 1601 del 10 giugno 1991 individuò per primo le Indicazioni Geografiche per i vini aromatizzati, riconoscendo e tutelando per la prima volta il vermouth. Fu il preludio a un lavoro infaticabile e appassionato di produttori e difensori della tradizione, culminato con il Tales of the Cocktail di New Orleans del 2014, dove era presenta Roberto Bava, oggi Presidente del Consorzio del Vermouth di Torino: “A un seminario dal titolo premonitore, The Vermouth Institute, dibattevano sulla necessità o meno di usare l’assenzio. Mi interpellarono, io rimasi in silenzio per trenta secondi, poi dissi solo: “How about Limoncello without lemon?” (“Cosa sarebbe il Limoncello senza limone?”). Applausi, ma capimmo che serviva inquadrare le regole e le modalità di produzione del vermouth”.

Il vermouth è un vino aromatizzato: si produce aggiungendo degli estratti di erbe aromatiche e spezie, fiori, semi, radici, cortecce a una base alcolica, rappresentata per l’appunto da vino, che deve avere la necessaria struttura e acidità per sostenere gli aromi e bilanciare lo zucchero che verrà aggiunto, prima di un periodo di affinamento. Nel 2019 ha finalmente visto la luce il Consorzio del Vermouth di Torino, sulla scia del precedente Istituto del Vermouth di Torino, presieduto da Roberto Bava. La missione del Consorzio ha come scopo la tutela, la promozione, la valorizzazione della IG “Vermouth di Torino”: sono attualmente 23 le aziende consorziate, che rappresentano il 98.5% della produzione e distribuiscono il vermouth di Torino in tutto il mondo. “Prima della pandemia, nel 2019, avevamo raggiunto i 4.5 milioni di litri. Il 2020 ha visto un calo del 17%, che va considerato come un trionfo, alla luce della chiusura dei bar e dei ristoranti. Vuol dire che i consumatori hanno continuato ad acquistare per berne in casa”.

Roberto Bava – Presidente del Consorzio del Vermouth di Torino

È così in vigore il disciplinare, ratificato dalla Commissione Europea, per la produzione del Vermouth di Torino, che per essere tale deve rispettare precisi requisiti: deve svolgersi in Piemonte (la piana di Pancalieri è l’ombelico del vermouth) utilizzando solo vini italiani e artemisia piemontese (almeno 0.5g/l); anche le altre botaniche prescelte devono essere coltivate in Italia. La classificazione del vermouth di Torino avviene in base al colore (bianco, ambrato, rosato e rosso) e alla quantità di zucchero impiegata. Può quindi essere Extra Dry (meno di 30g/l di zucchero), Dry (meno di 50g/l) e Dolce (pari o più di 130g/l).

Già largamente utilizzato negli anni del Proibizionismo, il vermouth è tornato alla ribalta dagli anni dieci del Duemila, grazie alla caparbietà di personaggi influenti nel mondo del bartending internazionale. Dale de Groff e Audrey Saunders, tra gli altri, iniziarono a battersi già a ridosso del 2010 per dare nuova linfa al commercio di vermouth di qualità, per spingere la miscelazione a livelli oggi altissimi. Drink come Manhattan (whiskey, angostura, vermouth dolce), Vieux Carrè (whiskey, cognac, Peychaud’s Bitter, vermouth dolce), Rob Roy (scotch whisky, vermouth dolce) sono solo alcune delle ricette che senza il lavoro dei professionisti, e senza la visione dei consorziati, non avrebbero forse più trovato spazio nel consumo contemporaneo.

Non è un caso se il vermouth dry è quello storicamente utilizzato per il Martini Cocktail, insieme al gin, e se il dolce è il protagonista del leggendario Negroni con Campari e gin, entrambi validi come aperitivo o come dopocena. Ma si può certamente berli lisci, con ghiaccio, o con una spruzzata di soda. È il terzo anniversario festeggiato dal Consorzio, i dieci anni dalla riscoperta del vermouth in miscelazione e nella vita quotidiana, lontana dagli stereotipi di bottiglie polverose sugli scaffali della nonna. Perché di fatto, è sempre l’ora del Vermouth di Torino.

www.vermouthditorino.org/

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