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Duecento anni di meravigliosa tradizione, iniziata con lo spirito sognatore di un francese giunto in Italia e mai più andatosene. Vecchia Romagna soffia su candeline importanti e non smette di innovarsi e migliorarsi: dal 1820, quando Jean Bouton si innamorò dell’Emilia, delle sue uve e delle sue terre così simili al Cognac, passando per tappe che hanno letteralmente fatto la storia del consumo italiano e non solo. Fino alle mire in mixology, raccontate in una masterclass al Donkey Speakeasy di Bologna.

Nel 1830 Bouton aprì quella che all’epoca era la prima distilleria a vapore della nazione. I primi cento anni volarono sulle ali del successo e del progresso, fino al primo cambio di trucco: nel 1930 l’azienda venne rinominata Vecchia Romagna Bouton Brandy e adottò l’immagine stilizzata del Bacco, divenuta poi simbolo di qualità inossidabile. Non bastò il terrificante bombardamento della Seconda Guerra Mondiale, che distrusse praticamente l’intero impianto, per arrestare la scalata verso l’Olimpo dell’eccellenza: si salvò infatti la bottaia con tutto il tesoro custodito, che fece da humus fino al 1970, quando venne aperto il nuovo e futuristico stabilimento, ancora oggi in pienissima attività. La Città del Brandy, diciotto ettari di superficie, quasi quattromila barrique e settecento botti di grandi dimensioni. Un arsenale che ha convinto nel 1999 un colosso come il Gruppo Montenegro ad acquisire il brand nel proprio portfolio.

Duecento anni che rivivono nel Metodo Vecchia Romagna, raccontato da Antonio Zattoni, Direttore dell’Analisi Sensoriale del Gruppo Montenegro: “L’intero processo produttivo si basa ancora sul primo ricettario di Buton, tramandato e rivisto per i necessari aggiustamenti tecnologici”. Si tratta di un ibrido tra distillazione continua e discontinua in alambicco charentais di tradizione francese, prima di un invecchiamento in botti vecchie di almeno 150 anni e dotate di tostatura ad hoc: almeno un anno in barrique che hanno contenuto “un pregiato vino rosso veronese”, e un altro anno in botti di rovere di Slavonia. Poi si procede al blending e al marriage, per trovare la quadra perfetta, tradotta nell’iconica bottiglia triangolare: “Tre vuol dire perfezione. Tre sono i momenti del nostro processo produttivo e tre sono i legni coinvolti nell’invecchiamento”. Tutti dettagli che portano Vecchia Romagna a essere il brandy italiano più venduto al mondo.

Duecento anni che però non sfigurano al cospetto delle tendenze più attuali, anzi: la mano e le idee di Alex Frezza, co-proprietario de L’antiquario di Napoli e uno dei massimi esperti di miscelazione in Italia, contribuiscono a far forma alla mixology strategy di Vecchia Romagna. Una solo linea guida, ma gigantesca e tutt’altro che facile da perseguire: ricontestualizzare un prodotto storico come il brandy, per renderlo più fruibile e approcciabile dal consumatore moderno. Senza però mai banalizzarlo, anzi, semmai valorizzandolo in chiave più pop e democratica. Il brandy è elemento portante di cocktail leggendari, che hanno però come comune denominatore un impatto alcolico non da ridere, essendo nati in periodi in cui sciroppi, infusioni e ingredienti più elaborati non esistevano. Grazie alle diverse anime delle due proposte di Vecchia Romagna, è possibile allora creare soluzioni brillanti, lavorando su classici intramontabili che diventano più snelli e morbidi.

Frezza riscopre quindi il ventaglio del consumo del distillato di vino, servendosi prima dell’Etichetta Nera, la classica proposta del brand. Si parte dal nonno di tutti i long drink: il collins, il primo cocktail a essere venduto singolarmente e non parte di un più generico punch. L’equazione delle quattro parti (dolce, citrica, alcolica, acqua) rivive in ottica moderna: Vecchia Romagna Etichetta Nera, nettare d’agave, succo di limone e top di ginger ale, per una bevuta lunga, fresca e da bancone. Si passa a un twist su uno dei drink più richiesti degli ultimi anni: l’Espresso Martini, inventato dal mitico Dick Bradsell e qui rivisitato per permettere ai toni maturi di Etichetta Nera e le spezie di Amaro Montenegro, di miscelarsi con orzata e caffè espresso. Per un sorso di maggior carattere entra in gioco Vecchia Romagna Tre Botti: come sostegno su un classico New York Sour, insieme a succo di limone, nettare d’agave e vino Sangiovese; o come protagonista assoluto, in uno strepitoso cambio d’abito per l’intramontabile Manhattan: Vecchia Romagna Tre Botti, Rosso Antico, Coca Buton, Angostura bitter e Orange bitter. Perfetti, oggi come duecento anni fa: ed è in arrivo una sorpresa strepitosa. 

 

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