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Articolo di Luigi Odello, revisione di Roberto Zironi

Forse nessuna calamità naturale che ha colpito il pianeta terra nei suoi 4,5 miliardi di anni di storia eguaglia la catarsi che tocca a un chicco di caffè da quando entra a quando esce da una tostatrice, quindi, parlando di quella classica a tamburo di capienza superiore a 60 chilogrammi, nel corso di 15/20 minuti.

In questo brevissimo lasso di tempo qualche decina di componenti che detengono la larga maggioranza della composizione del caffè crudo si trasformano in oltre millecinquecento tipi di molecole sotto l’azione del calore. Composti che si scindono, si trasformano e si uniscono ad altri in una sequenza che pare non avere fine. Tra i fenomeni più evidenti vi è un’alta formazione di anidride carbonica. Tante molecole sorelle che restano imprigionate nelle cellule vegetali, forzieri che durante la tostatura sono facilmente eludibili, ma che a caffè freddo sono a prova di hacker e le custodiscono gelosamente per lungo tempo, in certe condizioni per giorni (si pensi al degasaggio del caffè per poterlo confezionare sotto vuoto), in altre in mesi o, addirittura, in anni.

Tutte sono però desiderose di riconquistare la libertà. La prima occasione viene loro offerta dalla macinatura che, aumentando anche di 1.000 volte la superficie esposta all’aria, di fatto è come se aprisse un gran numero di celle delle prigioni cellulari: si calcola che il 70% della CO2 (per esprimerla con la formula bruta) venga rilasciata in questa fase. A sfavore della libertà delle molecole di diossido di carbonio (così amano chiamarli chimici) gioca ancora la pressione atmosferica — o addirittura la sovrapressione con la quale sono condizionate in certi contenitori — e la temperatura ambiente, quindi relativamente bassa. Anche questo è un punto importante sul quale torneremo in seguito: la tranquillità delle molecole di anidride carbonica è inversamente proporzionale al livello di temperatura alla quale si trova.

 

 

La grande occasione di incontro della miriade di molecole di CO2 che albergano in un nanogrammo di caffè giunge al momento in cui questo è sottoposto all’azione di acqua calda sotto pressione. Per dirla con la regola dell’Espresso Italiano a 9 bar e a circa 90°C. In queste condizioni non vedono l’ora di liberarsi nell’ambiente andando a incrementare quello 0,4% contenuto nell’aria che noi tutti respiriamo. Le molecole di CO2 vorrebbero raggiungere la superficie e librarsi nell’aria perché sopportano male il calore, almeno tanto quanto non sopportano la pressione che tende a farle passare dallo stato gassoso a quello liquido. E se fosse ancora più alta le trasformerebbe addirittura in solido, in ghiaccio secco. Ma loro si sentono libere solo nello stato gassoso, tutte insieme. Quindi già nei beccucci del portafiltro prima e nella tazzina poi, si mettono in viaggio per abbandonare il liquido. Ma nel loro tragitto sono fortemente ostacolate dagli altri composti del caffè.

Volendo utilizzare una metafora potremmo dire che una molecola di anidride carbonica ha meno probabilità di raggiungere il pelo libero del liquido di quante ne ha una volpe inseguita da una muta di cani. Bisogna infatti pensare che un buon espresso contiene almeno il 9% tra grassi, proteine, zuccheri (semplici e complessi) e acidi di molti tipi diversi, dissociati o uniti a minerali, proteine ecc. Molti di questi concupiscono le molecole di CO2, alcuni vorrebbero persino sposarle. Come molte volte succede in natura la soluzione sta nell’unione e così le molecole di anidride carbonica si abbracciano affettuosamente per via dell’affinità che le distingue formando un’infinità di bollicine. In questo sono enormemente facilitate dalla polvere che sfugge ai filtri e viene inglobata dalla bevanda. È formata da particelle di grandezza tra 1 e 5 millesimi di millimetro, vale a dire tra 1 e 5 micrometri, e ognuna funge da centro di nucleazione con la conseguente formazione di aggregati.

Nell’unirsi le molecole di CO2 sono immediatamente circondate e imprigionate dai solidi presenti nel caffè: zuccheri complessi fino a cellulosa e lignina, proteine molto ramificate che formano una vera giungla con il concorso di cationi (soprattutto di quelli bivalenti come il calcio) e degli acidi fenolici. Per non parlare di quei limacciosi dei grassi che, insoddisfatti di dover convivere con l’acqua, sono allo stato di emulsione e, sfruttando il loro peso specifico, inferiore a quello della frazione liquida nella quale sono immersi, tendono a portarsi in superficie.

 

 

Le bollicine, per quanto imprigionate nel loro abbraccio dai costituenti solidi, cooperano attivamente per liberarsi dalla prigione unendosi in bolle più grandi, quindi con un peso specifico sempre più basso, comunque di gran lunga inferiore a quello del mezzo, e dunque capaci di a salire in superficie trascinando il reticolo micellare che imprigiona il gas carbonico al suo interno.

Più ci sono proteine, acidi fenolici e cationi bivalenti e, più il reticolo sarà robusto, più la bolla sarà grande e stabile. Se invece primeggiano i grassi, le bollicine saranno più piccole ed evanescenti, quindi la crema che va a crearsi sulla superficie del caffè avrà una tessitura molto più fine, ma una minore persistenza. I grassi infatti, al contrario delle proteine, abbassano la tensione superficiale contribuendo alla rottura della parete della bolla. Ecco perché le miscele che hanno tanta Robusta, molto più ricca in proteine e in acidi fenolici, o quando si prepara il caffè con acque dure, abbiamo più crema. Nel primo caso avremo però una tessitura grossolana, in certi casi con una conformazione a dune del deserto. Nella creazione dello strato di crema che orna un espresso gioca un ruolo importante anche la geometria della tazzina. Torniamo per un attimo a quando le molecole di anidride carbonica si abbracciano e quindi formano la bolla: la differenza di temperatura tra il caffè e la parete della tazza genera di fatto dei moti convettivi che saranno tanto più circolari e regolari quanto più ovale sarà la tazzina. Questi moti sono basilari nel garantire una regolare distribuzione della crema in superficie in quanto generano una precisa direzione delle bolle e la regolarità dell’eventuale tigratura.

 

 

COS’È LA CREMA DELL’ESPRESSO: La crema è l’insieme di bolle di anidride carbonica circondate da una membrana costituita da grassi, proteine, polifenoli, acidi e glucidi aventi dimensioni variabili tra i 10 e i 150 micrometri, miste a globuli di oli, che si riuniscono sulla superficie del liquido. Ha una densità di circa 0,5 g/mL, quindi pesa in genere la metà del liquido. All’assaggio si rivela sciropposa, amara e astringente.

ABBIAMO SENTITO ANCHE QUESTE… La crema nell’espresso è così importante che non di rado condiziona oltremisura gli assaggiatori nella valutazione delle altre percezioni. Non dobbiamo quindi stupirci se in tanti si sono prodigati nella sua definizione, fino al punto di dare descrizioni tanto auliche quanto poco corrette. Senza citare gli autori, ecco qualche definizione tra quelle più colorite. La crema è la sublimazione degli aromi, l’espressione specifica di ciò che un caffè può regalarci nel momento della sua degustazione, quindi la sua essenza. Ed è proprio la crema questa emulsione di microscopiche goccioline di oli e acqua, di trama finissima e densa, discreto spessore e color nocciola che in tazza copre la superficie dell’espresso. La crema è una schiuma aromatica, color marrone rossastro, che si posa sopra un bicchierino di caffè espresso. Si forma quando le bolle d’aria si combinano con gli oli solubili del caffè macinato fine.

+Info: l’articolo in pdf è scaricabile a questo link.

*il presente documento è stato elaborato da coffeetasters.org ed è pubblicato sul nostro web magazine su gentile concessione dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè.

BIBLIOGRAFIA

  1. E. Illy & L. Navarini — Neglected Food Bubbles: The Espresso Coffee Foam — Food Biophysics (2011) 6:335–348.
  2. G. Liger-Belair, H. Lemaresquier, B. Robillard, B. Duteurtre, P. Jeandet — The secrets of fizz in Champagne wines: a phenomenological studi — American Journal of Enology and Viticulture (2001), 52 (2), 89-92.
  3. C. Odello & L. Odello — Espresso Italiano Specialist — Centro Studi Assaggiatori, 2003.
  4. C. Odello & L. Odello — Espresso Italiano Tasting — Centro Studi Assaggiatori, 2017.
  5. S. Smrke, M. Wellinger, T. Suzuki, F. Balsiger, S. E. W. Opitz, C. Yeretzian — Time-Resolved Gravimetric Method To Assess Degassing of Roasted Coffee — J. Agric. Food Chemistry, 2018, 66 (21), pp 5293–5300.

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