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Italia ormai quasi tutta zona gialla, quindi negozi, ristoranti e bar aperti. Si torna a una pseudo normalità, sulla carta. Ma no, perché è permesso, ma non consigliato. La ristorazione vede quindi uno spiraglio che in realtà non esiste.

Chiunque abbia riaperto le porte del proprio locale e rimesso a lucido il proprio bancone, pare avere la stessa sensazione: oggi si lavora (e poco), ma già domani è un punto interrogativo. Ed è quasi superfluo stare qui a sottolineare quali enormi difficoltà gestionali è costretto ad affrontare un bar o un ristorante, anche solo per tirare su la serranda: tra ordini centellinati, pulizia e sanificazione, struttura del personale, pubblicità e mille altri gorghi, l’attività nascosta e forse più di quella visibile. Il settore dell’ospitalità, che è ormai evidente essere uno dei, se non il più colpito dalle restrizioni vigenti, è stretto in una morsa la cui via d’uscita sembra inarrivabile, perché posta alla fine di un labirinto zeppo di nodi.

La comunicazione non specializzata è ormai buona per il camino: i titoloni parlano della corsa al cashback, come del bonus vacanze a giugno, sputando clickbait e decaloghi da quarta elementare (“ecco come fare per”, “così si potrà”), descrivendo i vari scenari con cui partire o acquistare in negozio. Specificamente in negozio. Poi il giorno dopo è un susseguirsi di dita puntate su chi davvero è partito con il bonus, o davvero è andato in negozio per sfruttare il cashback: un sistema di gestione e resoconto che sembra dire “è concesso, anzi incentivato. Ma non dovreste farlo”, che somiglia tanto a quando la mamma ammoniva il figlio con un enigmatico “fai come vuoi”.

Navigli a Milano (foto ansa)

Lo sport nazionale, per noi che siamo piuttosto bravi a diventare cintura nera in qualsiasi cosa e in brevissimo tempo, adesso è il predicare buon senso, appellarsi alla coscienza civile dei singoli. Romantico, e soprattutto utopico: mai nella storia del mondo si è visto un popolo scegliere in maniera del tutto saggia e corretta, quando messo in condizioni di libero arbitrio. È peraltro il motivo vero e proprio per cui ci si è evoluti verso le elezioni di personalità che si ritengono capaci di indirizzare le coscienze nel modo migliore. Che cosa ci aspettavamo, che dopo otto mesi trascorsi a farci ottundere i sensi nelle mura di casa, ci saremmo convinti a non andare per negozi o a berci un bicchiere, peraltro comunque rispettando orari e regole? Che nella totale assenza delle forze dell’ordine per gestire gli eventuali (e ampiamente prevedibili) enormi flussi di persone nei vari centri, i singoli cittadini si sarebbero messi buoni in fila per uno?

E a farne le spese poi dovrà essere comunque il comparto della ristorazione: stando alle voci ormai libere e non filtrate che riecheggiano un po’ su qualsiasi testata, come se un giornale a tiratura nazionale avesse la stessa valenza della chiacchiera da ascensore, nei giorni festivi, quelli clou, si tornerà a regole da zona arancione. Cioè con tutte le attività principali aperte, tranne bar e ristoranti (a cui è concesso l’inestimabile delivery), e grandi centri commerciali. Decisione che sarebbe adottata, peraltro, in base a presa visione di filmati para-amatoriali: non è fatto riferimento ai famigerati 21 criteri di valutazione del governo, né a proiezioni o previsioni. Si è riaperto, ma c’è folla, allora si richiude, stop. Un’altalena che contribuisce a sprofondare ancora più in basso nell’incertezza, la vera mannaia che continua ad abbattersi sugli esercizi commerciali. Parentesi per chiunque pensi che sia meglio l’ormai decantato Modello Merkel, o crede che questo sia un luogo in cui si propongono soluzioni: è proprio questo il punto, le soluzioni non dovrebbero essere demandate a chi suda e lavora per vivere, ma a chi da questo sudore e da questa fatica viene scelto per poter vivere meglio.

E a chi interessa degli sforzi inverecondi profusi dai vari proprietari e gestori: tra investimenti senza senso né rimborso (plexiglass, sistemi di sanificazione), ingenti perdite dovute alla chiusura e quando va meno peggio alla necessaria riduzione dei coperti, durissime e per nulla volute ripercussioni sul personale, e promesse ridicole chiaramente non mantenibili, che parlano di ristori dal sapore di contentino senza vergogna. Basta trovare un colpevole cui puntare il dito, per avere la possibilità di dire che lo avevamo detto, o che “noi meglio di loro che non sono responsabili”. Assembramento, movida molesta, “presi d’assalto”, shopping selvaggio: con bar e ristoranti, questi termini da sciacalli hanno davvero poco a che fare. Locali e luoghi di aggregazione sono linfa della società, non bersaglio bistrattato: ha ragione, e andrebbe sostenuto, il movimento IHN, Italian Hospitality Network, che in questi giorni sta pacificamente occupando le piazze di Roma nel tentativo di far ascoltare la propria voce. “Siamo gente della notte, ma una città senza luci è una città morta”.

 

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1 Commento

  1. Articolo realistico per alcuni versi (vere le spese extra sostenute, lo scarso preavviso delle nuove disposizioni). Molto capzioso per altri versi, dimostra che ci siamo già dimenticati l’arrembaggio di consumatori della scorsa estate, a cui si deve buona parte della pessima diffusione di oggi. Caro Redattore, si renda conto che la velocità con cui si evolve il contagio (vedi la nuova mutazione “inglese”) costringe il Governo a prendere spiacevoli decisioni purtroppo veloci e drastiche. I voli da GB sono stati sospesi con effetto immediato il 21.12 da tutti i Paesi EU. Dovevano lasciarli aperti, in funzione delle vacanze e introiti presunti? E le piste da sci? Abbiamo il peggior rapporto del mondo popolazione/morti: vorrebbe che facessimo come Trump? anche no. In certe località l’alta concentrazione di Locali/bar è inversamente proporzionale alla qualità/igiene del servizio. Una selezione naturale andrà a vantaggio dei migliori professionisti in tempi speriamo brevi

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