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L’ultimo Report di Assobirra ospita un intervento dell’economista Luca Paolazzi che fa il punto sullo sviluppo del settore birraio in Italia anche in confronto al resto dell’economia italiana, delineando alcune importanti opportunità di ulteriore crescita. Riassumiamo di seguito i principali punti di questa analisi.

IL 2009-2019: UN DECENNIO DI GRANDE SUCCESSO

ll 2009-2019 è stato, in assoluto e nel confronto con il resto dell’economia italiana, un decennio d’oro per il mercato italiano della birra. Decennio che può essere diviso in due sottoperiodi. Il primo quinquennio è stato fondamentalmente di tenuta: l’incremento cumulato della produzione è risultato del 5,8%. Il secondo, invece, ha visto un +27,6%. In totale: +35%, con un manifatturiero che ha segnato un +11,6% e il settore alimentare un +16,9%. Inoltre, se raffrontiamo questa performance con quella economica dell’Italia intera, balza agli occhi che anche nel 2009- 2014 il settore della birra ha conseguito un buon risultato: il PIL italiano è, infatti, sceso del 2,5%. Ma il divario nel quinquennio successivo è eclatante: 22 punti percentuali.

 

 

Anche per i consumi e le esportazioni di birra il bilancio del decennio è molto lusinghiero. I primi sono aumentati del 24%, contro il 6% dei consumi totali e il 3,5% di quelli alimentari. Le esportazioni sono schizzate del 98%, contribuendo così all’exploit delle vendite italiane all’estero (+44%), unica componente della domanda ad aver superato i valori del 2007.

 

I FATTORI DI SUCCESSO DELLA BIRRA

Gli ingredienti di questo successo si chiamano innovazione e attenzione alle nuove preferenze dei consumatori, insieme alla crescente attenzione che il made in Italy è stato capace di accendere in ambito alimentare e culinario. Negli ultimi anni il settore alimentare è riuscito a fare pienamente leva sul sistema del gusto italiano, come declinazione vincente delle industrie creative e culturali. Non è altro che uno, e tra i principali, aspetti dell’esportare l’Italian life style; anzi, si può dire che con il buon mangiare si riesce meglio che con ogni altro discorso a far percepire la qualità dei prodotti italiani di ogni settore: se un paese riesce a farci mangiare e bere così bene deve essere bravo anche quando mette al lavoro le sue competenze in altri campi.

 

 

In cucina l’Italia riunisce caratteristiche che ritroviamo, con i dovuti cambiamenti, in altri settori: genuinità e attenzione alla materia prima, semplicità congiunta a fantasia degli accostamenti nella composizione, maniacalità nell’attenzione al particolare e cura estrema nell’esecuzione. Così, come il vino della Penisola è riuscito finalmente a incalzare i leader francesi sui mercati internazionali, la birra italiana si è conquistata spazi nei templi della bevanda derivata dall’orzo, come l’Inghilterra, la Germania, il Belgio, l’Austria. Un risultato ancora più straordinario se si considera che la produzione di birra nella percezione del consumatore non si inserisce nel solco della tradizione italiana.

 

BIRRA ALLA SPINA

Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se i birrifici non avessero innovato per assecondare e cogliere un evidente e dilagante bisogno dei consumatori italiani, già così ben espresso nell’enologia. Questo bisogno è meno quantità e più qualità, intesa qui come connubio di sapori nuovi ed elaborazioni produttive, che rimandino al territorio, alle tradizioni, a ingredienti e ricette locali, valori identitari. I piccoli birrifici sono stati, inevitabilmente e per caratteristiche intrinseche, i rompighiaccio di questa innovazione rivolta a proporre prodotti in grado di sollecitare, anche in questa bevanda, la ricerca di gusti diversi.

Ma anche i grandi gruppi sono state pronti ad avanzare proposte che rispondessero a questa esigenza di nuovo, anche nel confezionamento e nel legame con il territorio. Lo dimostra la crescita delle vendite di storici prodotti dell’Italia insulare. Senza questa reazione dei grandi produttori si dovrebbe parlare di affermazione in piccole nicchie, e non di una vittoria di mercato. Sarebbero, cioè, mancati i volumi per caratterizzare una tale vittoria. Innovazione e capacità di assecondare i gusti dei consumatori rimangono elementi chiave per raggiungere nuovi traguardi anche nel nuovo contesto che è determinato dalla crisi dovuta all’epidemia.

 

 

LE OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO

il potenziale di sviluppo del mercato italiano della birra è enorme. Basti pensare che il consumo pro-capite è tra un quarto e un terzo di quello che si osserva negli altri mercati; e la produzione è tra un quarto e un settimo. C’è largo spazio per l’aumento della produzione nazionale, anche considerato l’ancora grande deficit nella bilancia commerciale di birra (per un ettolitro esportato, l’Italia ne importa 1,3). D’altra parte, l’aumento del consumo interno tende a essere soddisfatto da produzione nazionale anche per questioni logistiche. Quindi i birrifici situati all’interno dei confini nazionali godono, da questo punto di vista, di un vantaggio competitivo rispetto a quelli degli altri paesi.

 

 

Ma sono penalizzati da un’imposta sul consumo che non ha giustificazione né sul piano salutistico (bassa gradazione alcolica), né economico (è regressiva, penalizza un bene la cui domanda è altamente sensibile al prezzo. Questa accisa andrebbe abolita proprio come misura di sostegno all’economia italiana di fronte alle conseguenze della crisi.

Riguardo a queste conseguenze, occorre ricordare che più di un terzo della birra in Italia è consumata fuori casa (36%, sebbene in calo dal 41%). Ossia, nei bar e nei ristoranti, oltre che nei luoghi di spettacolo (concerti) e divertimento. Le misure sanitarie hanno chiuso per prime queste attività, che saranno anche le ultime a riaprire e dovranno fronteggiare una domanda che, per varie ragioni, resterà bassa. È, quindi, a rischio una fetta enorme del mercato, soprattutto in un periodo (maggio-settembre) in cui si concentra il 50% del consumo di birra. Tra l’altro, molti birrifici piccoli o micro vendono prevalentemente attraverso il canale distributivo del consumo fuori casa.

 

 

Per sopravvivere, quindi, è necessario cambiare e puntare su canali di vendita diversi: dall’antico porta a porta all’on line, dai negozi di prossimità (che nel social-distancing hanno avuto una rinascita) ai supermercati (mentre penalizzati rimangono i grandi centri commerciali). D’altra parte, sull’on-line e sui negozi di prossimità si riverserebbe la parte della domanda che non è più soddisfatta dalla ristorazione, la parte cioè più attenta agli aspetti qualitativi, propensa a sperimentare nuovi gusti e caratterizzata da una minore elasticità al prezzo. In questi segmenti possono trovare più facilmente collocazione i prodotti della fascia di prezzo più elevato. Occorre percorrere queste strade nuove possibilmente in alleanza tra piccoli e grandi produttori, in modo da saper preservare la capacità innovativa di tutta la filiera.

Inoltre, sarebbe bene affrancare la birra dall’idea di una bevanda prevalentemente dissetante. Come per i vini, la bassa temperatura svilisce il contenuto organolettico. E visto che il lockdown ha risvegliato la voglia e fatto acquisire nuove competenze del cucinare in casa, sarebbe opportuno valorizzare l’idea del consumo associato alle preparazioni domestiche (dalle pizze, focacce, piadine prodotte fra le mura domestiche…).

Ma anche sganciare la birra dalla relazione esclusiva del binomio classico con la pizza: le patrie riconosciute della birra accostano la birra a pietanze assai diverse. E la birra può essere anche un componente culinario. Anche questa è innovazione. Da promuovere con campagne mirate e auspicabilmente associative. Infine, l’antico detto «chi beve birra campa cent’anni» ben si addice alla maggiore attenzione alla salute che sarà un’inevitabile eredità della pandemia. Esaltare il basso contenuto alcolico e le altre caratteristiche salutistiche della birra può aiutare il settore a gettare le basi per una nuova storia di successo.

+info: www.assobirra.it

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