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Del birrificio, e dell’annessa esclamazione di sorpresa dopo l’assaggio, vi avevamo già parlato qui. Fabio Ditto e la sua creatura KBirr tornano sulla scena con una vecchia nuova identità: la linea Premium pensata per la ristorazione, che conserva la gamma ma si rifà il trucco, mantenendo l’anima partenopeo e il gusto verace.

Non certo il momento storico migliore, per la ristorazione: con la seconda ondata di COVID-19 a tagliare le gambe al settore e la flebile speranza di ristori governativi, lo scenario è cupo ma non per questo impossibile. La proposta di KBirr, nata per abbinarsi alla cucina napoletana, ma dotata di enorme respiro nazionale, ha suscitato nella sua breve esistenza (prima produzione nel 2016) l’interesse di chef stellati e ristoranti di grido in Italia come all’estero: “Soprattutto i cuochi attenti al bello”, racconta Ditto, “quelli che pongono l’attenzione sull’esperienza complessiva e non solo su quella gustativa, ci hanno chiesto di mettere la nostra linea in carta. Per questo abbiamo spinto anche sulla realizzazione delle etichette”, che valorizzassero le intuizioni del mastro birraio Achille Certezza.

Le bottiglie della linea Premium, da collezione e da 75cl, recano infatti serigrafie tematiche, ciascuna riferita a un diverso tratto della cultura e della vita di Napoli: si parte dall’inconfondibile profilo del patrono San Gennaro per le due varianti della Natavota, lager più dolce che va via via seccandosi, e red strong ale, una nove gradi tutt’altro che ostica, temprata da sentori di agrume e anice. “Una birra che invita ogni volta al sorso successivo, come noi chiediamo ogni volta al santo di ripetere il suo miracolo, appunto, un’altra volta”. Si passa poi per la #cuoredinapoli, nata per spalleggiare un progetto cittadino che fa tappa nei vari quartieri di Partenope. Una American Pale Ale per celebrare l’ultima contaminazione culturale vissuta dalla città, dopo la seconda guerra mondiale: luppolo più esaltato, lievito neutro, aromaticità sostenuta. Al naso sale bene un caramello gentile, il corpo è esile e leggero. Il colore, inutile dirlo, è il rosso del cuore.

Jattura è il nome della Scotch Ale, caratterizzata da una interessante parte maltata che cede il passo a una torba intrigante: “Un ricordo d’infanzia, di quando nella caffetteria di mio padre si presentavano i falsi parroci a chiedere qualche spicciolo in cambio di una passata di incenso per allontanare le energie negative”. Rosso intenso e finale importante, con una torrefazione che viene fuori, di nocciola e ovviamente di caffè. L’etichetta, va da sé, è un corno portafortuna. Infine la Paliata, la bastonata: “Fu l’effetto che mi fece il primo assaggio, Achille mi vide barcollare. Come immagine abbiamo scelto il mastino napoletano, sinonimo di fierezza, vigore, forza”. È una Imperial Stout da nove gradi, complessa per qualità e struttura, estremamente soddisfacente.

KBirr conferma quindi uno scheletro che si è rivelato vincente finora, grazie al credo che parla di apertura e semplicità: “Non abbiamo mai spinto sull’uso estremo dei luppoli o su prodotti inutilmente difficili. La birra artiginale è spesso un pianeta colmo di autoreferenzialità, noi abbiamo scelto un taglio sereno, per una bevuta facile che andasse incontro al grande pubblico, pur mantenendo una qualità eccelsa”. Con questi presupposti il birrificio napoletano è arrivato a essere il primo in Italia per capacità produttiva, con tredicimila litri al giorno divisi in sei tipologie di prodotto: tutto all’interno di uno stabilimento da appena 150 metri quadri, che si sviluppa brillantemente in verticale.

Si guarda quindi al futuro, al dopo pandemia, quando tutto potrà tornare alla normalità e anzi meglio. “Abbiamo vissuto un ottimo rimbalzo tra agosto e settembre, e in generale la richiesta non è mai mancata. Ma è innegabile, il nostro primo canale di sfogo è quello Horeca, e al momento siamo completamente fermi”. In piena mentalità napoletana, quella che nei problemi ha sempre trovato il modo per emergere e avere successo: adda passà ‘a nuttat’. 

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